ROMA (UnoNotizie.it)
Mentre i leader delle nazioni più ricche del Pianeta arrivano al summit del G8, oltre cento attivisti di Greenpeace da tutto il mondo hanno occupato quattro centrali elettriche a carbone sparse sul territorio italiano, chiedendo ai Capi di Stato del G8 di assumere un ruolo di leadership contro i cambiamenti climatici.
Nelle prime ore del giorno, gli attivisti – provenienti da diciotto differenti nazioni – hanno occupato i nastri di trasporto e scalato le ciminiere e le gru delle centrali a carbone di Brindisi, Marghera (presso Venezia), Vado Ligure (vicino Genova) e dell’impianto che il Governo Italiano vuole riconvertire a carbone, a Porto Tolle, nel Parco regionale del Delta del Po. Il carbone è in assoluto il combustibile con le maggiori emissioni di gas serra.
La centrale di Brindisi, recentemente al centro di una sporca storia di traffici di rifiuti tossici, è la maggiore singola fonte di emissioni di CO2 in Italia e Greenpeace intende fermare queste emissioni, bloccando il nastro trasportatore che alimenta con il carbone la fornace.
“I politici chiacchierano. I veri leader decidono”, afferma Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia: “Abbiamo perso anche troppo tempo e l’occasione di quest’anno, al summit di Copenhagen, è un treno che non si deve perdere! Le maggiori economie del pianeta devono decidere ora di salvarlo dai cambiamenti climatici”.
Le nazioni del G8 devono finirla di mettere gli interessi del business dei combustibili fossili davanti a quelli di noi tutti e devono intervenire con urgenza con misure concrete che riducano sensibilmente le emissioni entro il 2020, investendo in azioni di adattamento e mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e per bloccare la deforestazione nelle ultime grandi riserve forestali del Pianeta (Amazzonia, Indonesia, Congo).
In particolare, i Paesi del G8 devono concordare di:
- contenere l’aumento della temperatura globale quanto più possibile al di sotto dei 2°C, rispetto ai livelli pre-industriali, per impedire cambiamenti catastrofici;
- assicurare che le emissioni globali raggiungano un massimo nel 2015, per poi ridursi praticamente a zero entro il 2050;
- tagliare le emissioni del 40%, rispetto ai valori del 1990, entro il 2020;
- investire ogni anno 106 milioni di dollari (74 milioni di euro), dei 140 milioni necessari, nei Paesi in Via di Sviluppo per garantire che vengano messe in atto le misure di adattamento e lotta ai cambiamenti climatici, compresa la difesa delle grandi foreste del Pianeta;
- impegnarsi immediatamente a realizzare un meccanismo finanziario che fermi la deforestazione, e le emissioni di CO2 associate, in tutti i Paesi in via di sviluppo e che raggiunga entro il 2015 il livello di “deforestazione zero” in Amazzonia, Indonesia e Congo.
“I leader del G8 devono sbloccare l’empasse del negoziato e assumere personalmente l’iniziativa, smettendola di accusare i Paesi in Via di Sviluppo”, aggiunge Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, direttamente dal meeting del G8 dell’Aquila: “Questa è la loro occasione per mostrare se sanno agire per il bene di tutti e sono dei veri leader, o se sono buoni solo per le chiacchiere: se l’obiettivo del G8 è lo stesso del Presidente USA Obama, ovvero di ritornare ai livelli di emissioni del 1990 solo nel 2020, allora i nostri figli avranno da questi cosiddetti leader solo un’eredità di sete, fame e catastrofi climatiche, come affermano gli scienziati”.
Dettagli delle attività e delle centrali
1. Brindisi, Puglia: 6 attivisti hanno occupato il nastro che trasporta il carbone alla fornace della centrale a carbone che emette più CO2 in Italia, per interrompere le emissioni. Questa centrale emette ogni anno oltre 14 milioni di tonnellate di CO2, più delle emissioni combinate dei 40 Paesi che emettono meno CO2. Altri 7 attivisti hanno scalato la ciminiera dell’impianto. Sulla ciminiera, disponibile per interviste, c’è l’attivista Simona Fausto.
2. Impianto di Fusina, a Marghera (Laguna di Venezia): 5 attivisti hanno occupato il nastro che trasporta il carbone all’impianto di Fusina. La direzione dell’impianto ha deciso di bloccare il nastro trasportatore: gli attivisti di Greenpeace hanno precisato che questo non era il loro obiettivo e che non ci sono problemi di sicurezza. Altri 15 attivisti hanno occupato alcune gru e la ciminiera della centrale da dove hanno aperto due banner: il primo con la scritta “G8: TAKE CLIMATE LEADERSHIP” (“G8: prendi la leadership sul clima”); il secondo con la scritta: ENERGY REVOLUTION = GREEN JOBS (“Rivoluzione energetica = lavori verdi”).
3. Porto Tolle (Delta del Po): 6 attivisti hanno scalato la ciminiera (la seconda più alta in Italia) di questa centrale a olio combustibile che sta per essere riconvertita a carbone, mentre un’altra decina è alla base della stessa ciminiera. Dopo la riconversione, l’impianto emetterà oltre 10 milioni di tonnellate di CO2: una follia, considerando che secondo il Protocollo di Kyoto l’Italia dovrebbe tagliare le emissioni di 100 milioni di tonnellate, non aumentarle! Secondo il Governo italiano l’impianto dovrebbe utilizzare il sedicente “carbone pulito”, utilizzando un sistema di cattura e immagazzinamento della CO2. Il punto è che fino ad oggi nessun grande impianto a carbone usa questa tecnologia che per gli esperti non sarà pronta prima di dieci anni.
4. Vado Ligure (provincia di Savona): 11 attivisti hanno scalato entrambe le ciminiere, appendendo alcuni striscioni che andranno a comporre la scritta “TIME TO LEAD ON CLIMATE” (“È il momento di agire sul clima”) sulla prima, e occupando la seconda con un bivacco sospeso.
Le diciotto nazioni dalle quali provengono gli attivisti di Greenpeace: Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Canada, Italia, Brasile, Finlandia, Israele, Turchia, Grecia, Polonia, Filippine, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Spagna.
Nel frattempo, le navi di Greenpeace continuano a documentare intorno al mondo gli impatti dei cambiamenti climatici. L’Arctic Sunrise è nell’Artico, dove la calotta di ghiaccio si sta sciogliendo a un ritmo senza precedenti. L’altra nave di Greenpeace, l’Esperanza, è invece nel Pacifico, dove gli abitanti dell’Arcipelago di Tuvalu, con altezza media sul livello del mare di circa un metro, stanno cercando di capire dove andranno tra qualche anno, quando le loro isole scompariranno inghiottite dal mare che si sta inesorabilmente sollevando.
- Uno Notizie G8 ambiente -
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