Uno studio pubblicato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) analizza lo stato di salute della popolazione residente in 45 luoghi contaminati, tra quelli che il ministero dell’ambiente considera “di interesse” per le bonifiche: si tratta di 5,9 milioni di abitanti in 319 comuni. È il rapporto Sentieri, il sistema di controllo epidemiologico nazionale condotto nei territori a rischio.
Per compilarlo, decine di ricercatori hanno raccolto e analizzato i dati delle fonti accreditate su mortalità, ricoveri ospedalieri, incidenza di tumori e anomalie congenite nel periodo tra il 2006 e il 2013. Poi hanno osservato quanto quei dati si discostano dalla media regionale, cioè quanti casi sono “in eccesso”. Hanno cercato in particolare le patologie e i tumori per cui esiste un “rischio specifico”, cioè quelle che la letteratura scientifica ha già collegato con ragionevole certezza alle sostanze tossiche presenti in quei siti.
Il risultato è una mappa delle conseguenze a lungo termine dell’inquinamento sulla salute. È significativa non solo per i dati globali, che pure sono pesanti: in quell’arco di tempo in quei 45 siti le morti in “eccesso” sono state 5.267 tra gli uomini e 6.725 tra le donne; le morti per tumori maligni sono state 3.375 tra gli uomini e 1.910 tra le donne. Ma è soprattutto dall’analisi dettagliata che emerge un quadro inquietante.
Il primo dato è che a diverse fonti di rischio corrispondono precise malattie. “Abbiamo a che fare con impianti chimici, siti petrolchimici e raffinerie, aree portuali, impianti siderurgici, amianto: ogni tipologia industriale rimanda a certe sostanze contaminanti e determinate conseguenze sanitarie”, spiega Pietro Comba, direttore del dipartimento di epidemiologia ambientale e sociale dell’Iss e coordinatore del progetto Sentieri.
Risulta, per esempio, che i più frequenti casi “in eccesso” sono i mesoteliomi (correlati all’amianto), i tumori maligni del polmone, le malattie respiratorie e il tumore del colon retto, tutti mali che rimandano all’esposizione ambientale tipica della chimica, la petrolchimica, e di aree con grandi quantità di amianto come le zone portuali.
In alcuni siti l’eccesso di mesoteliomi riguarda sia uomini sia donne, come a Taranto e a Priolo in Sicilia: questo fa pensare a un’esposizione ambientale, e non solo sul luogo di lavoro. Lo stesso vale per il tumore al polmone, a Porto Torres, a Taranto e a Priolo. Nei comuni intorno a Colleferro, nel Lazio, nella valle del Sacco inquinata dalle industrie chimiche, resta alta la concentrazione di una certa sostanza clorurata (il beta-esaclorocicloesano) nel sangue degli abitanti, e le indagini confermano un danno biologico per la popolazione esposta. Le malattie respiratorie sono in eccesso in tutte le aree portuali, e in quelle dove ci sono industrie chimiche, centrali elettriche, petrolchimici, impianti siderurgici – cioè gran parte dei territori studiati.
Il caso di Taranto è emblematico. Il rapporto Sentieri conferma un eccesso della mortalità tra uomini e donne, e in particolare per tumore al polmone, mesotelioma e malattie respiratorie. Non solo, riprendeun’indagine della regione Puglia sull’esposizione degli abitanti alle sostanze disperse dall’acciaieria fin dal 1965, l’anno in cui è entrata in attività, e conclude che per ogni aumento di dieci microgrammi per metro cubo della concentrazione di microscopiche particelle di polveri (pm10) e di anidride solforosa, si osservano eccessi di malattie neurologiche, cardiache, respiratorie, renali e dell’apparato digerente. In altre parole, ogni microgrammo in più di polveri tossiche si tradurrà in un certo numero di malattie e tumori: lo sappiamo in anticipo.
Le polveri che volano, i fumi e la necessità di coprire i depositi di minerale all’interno delle acciaierie sono questioni sotto i riflettori, a Taranto. Così, “qualche intervento per limitare l’inquinamento dell’aria è stato avviato, anche se bisognerà valutare la situazione quando l’attività industriale andrà a pieno ritmo”, osserva Comba. “Però sono molto meno pubblicizzati i dati sulla contaminazione dei suoli e delle acque di falda, con possibili conseguenze sulla catena alimentare. Questo richiede una continua attenzione e la massima trasparenza”.
Un altro dato allarmante è che l’inquinamento industriale pesa sulla salute dei bambini e dei giovani, e si può misurare negli “eccessi” di malattie e di ricoveri. Un bambino che cresce in un sito contaminato ha il 9 per cento di probabilità in più di ammalarsi di un tumore maligno rispetto a un coetaneo che vive in un’altra zona (considerata la fascia d’età tra gli zero e i ventiquattro anni, nei 28 siti tenuti sotto osservazione dall’associazione Registri dei tumori sono stati osservati 666 casi). In generale i tumori infantili restano eventi rari, ma anche pochi casi più della media sono “eventi sentinella”, dicono gli epidemiologi.
A Taranto tra bambini e persone fino ai 29 anni si contano 173 casi di tumore maligno: 39 di loro sono in età pediatrica e cinque nel primo anno di vita. In particolare, i bambini in età pediatrica hanno un rischio quasi doppio di sviluppare un linfoma, e tra gli adolescenti si registra il 70 per cento di probabilità in più di avere un tumore alla tiroide. Inoltre si segnalano 600 casi di malformazioni alla nascita. Anche le malformazioni congenite sono un segnale di allarme. Oltre a Taranto risultano in eccesso a Gela, nella zona dei laghi di Mantova, a Livorno, a Manfredonia, a Milazzo e a Piombino.
È la prima volta che uno studio sistematico come Sentieri osserva la salute dei giovanissimi. Il fatto che sia compromessa fa pensare che molte fonti di inquinamento siano ancora attive.
Anche di fronte alla salute nel paese ci sono differenze enormi. “Emerge un nesso molto chiaro tra l’esposizione a sostanze tossiche e le diseguaglianze sociali”, spiega Pietro Comba. Da tempo infatti i ricercatori del progetto Sentieri hanno osservato che al livello nazionale il 60 per cento dei comuni da loro analizzati sono tra quelli più svantaggiati secondo diversi indicatori socioeconomici. La percentuale è molto più bassa nell’Italia del nord, mentre sale al 92 per cento nel sud e nelle isole. In altre parole, le zone più esposte a rischi di tipo ambientale sono anche quelle più svantaggiate, quindi con meno capacità di accedere a informazioni e a servizi sanitari adeguati. L’effetto sulla salute è visibile: in ciascuno dei siti studiati, le persone più povere, quelle che vivono nei quartieri più svantaggiati, hanno anche un maggiore rischio di mortalità per le conseguenze dell’inquinamento.
La disuguaglianza dunque segue anche linee geografiche, perché “i siti che danno maggiore segnali di allarme sulla salute sono nel sud e nelle isole” – da Taranto a Gela, da Porto Torres a Milazzo, passando per Priolo e Crotone – aggiunge Comba. Perché? “Nel nord del paese alcuni siti più inquinati sono andati avanti con la bonifica, come a Cengio in Liguria o a Sesto San Giovanni vicino a Milano, o comunque hanno preso misure per fermare l’esposizione al rischio, per esempio hanno fermato la contaminazione attraverso la catena alimentare”. Dove questi interventi ci sono, l’effetto si riflette nei dati sanitari. Lì dove non ci sono, si vede l’abbandono.
Il fatto è che per decenni l’inquinamento industriale è stato per lo più ignorato. “Prima che dai ricercatori, questo inquinamento è stato osservato dagli scrittori”, dice Pietro Comba, che cita pagine di Beppe Fenoglio, Primo Levi, Leonardo Sciascia, dove si raccontano fiumi maleodoranti, montagne dilaniate da miniere, inferni di polveri industriali. Solo più tardi sono arrivati medici, chimici, biologi, gli studi sulla salute in fabbrica, e abbiamo visto emergere quelli che l’epidemiologo chiama “disastri invisibili”.
Il progetto Sentieri, cominciato nel 2006, è il primo sistema di monitoraggio epidemiologico permanente in Europa, cosa che ha dato un certo lustro all’Italia. Nel 2012 l’Organizzazione mondiale della sanità l’ha indicato come uno strumento di ricerca efficace per valutare le conseguenze sanitarie nei siti inquinati, auspicando che fosse esteso anche al resto dell’Europa.
Lo scopo di uno studio simile però non è solo monitorare i luoghi inquinati, è anche dare indicazioni di sanità pubblica, come quella di superare l’ingiustizia di fronte al rischio ambientale, di informare la popolazione esposta, di specificare quali interventi privilegiare per tutelare le persone. “Ma ogni intervento sarà vano se non si fermano le fonti della contaminazione”, osserva Comba. Altrimenti, gli epidemiologi continueranno a studiare danni già avvenuti.
di Marina Forti Fonte: AGORAVOX
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