Spesso gli interventi sulla stampa dedicati alle moderne tecnologie hanno abbracciato acute analisi sociologiche, senza tuttavia spingersi a considerare lo stretto rapporto che corre tra l’uso eccessivo degli strumenti di comunicazione mobile ed i rischi a cui ci si espone, più o meno consapevolmente.
Gli ultimi studi scientifici sperimentali ed epidemiologici offrono dati sempre più preoccupanti.
Tra questi vanno segnalati:
· Il Rapporto del BioInitiative Working Gruop, pubblicato nel 2007, che sintetizza circa duemila studi rilevati sulla questione e conclude invitando i governi europei ad adottare concrete ed efficaci azioni per ridurre le esposizioni, soprattutto nei confronti dei bambini;
· La metanalisi del prof. Hardell sui tumori alla testa da uso prolungato dei telefoni mobili;
· Il progetto Interphone, in ritardo di pubblicazione, ma da cui trapelano notizie che confermano la pericolosità dei telefonini, soprattutto in chi lo usa sempre dallo stesso lato della testa;
· Segnalazioni sempre più frequenti di fenomeni di elettrosensibilità e di “clusters” di tumori in prossimità di Stazioni Radio Base.
A fronte di questa consistente e considerevole mole di dati, che in alcuni Paesi europei ha consigliato interventi e misure di precauzione e salvaguardia della salute (vedi recentemente il parlamento francese), in Italia, purtroppo, abbiamo dovuto misurare la sostanziale latitanza degli amministratori pubblici, ad ogni livello istituzionale.
Basta scorrere la cronistoria delle vicende sull’Elettrosmog nel nostro Paese per distinguere in ogni settore carenze, omissioni, inadempienze, conflitti d’interesse, che hanno finito per inasprire i toni del conflitto sociale.
Il Governo nazionale risulta inadempiente sin dal 2001 quando, approvata la Legge Quadro n° 36 sui campi elettromagnetici, ha lasciato cadere via via i termini prescritti per la emanazione di una serie di decreti attuativi, fondamentali per rendere compiuta quella riforma.
Sempre il Governo nazionale, utilizzando la delega per le grandi opere, sin dal 2002 ha costruito una disciplina autorizzatoria abbreviata e preferenziale per le reti di impianti di telecomunicazione (radiodiffusione e telefonia mobile), giungendo perfino a minacciare di sanzioni giudiziarie la proprietà privata che si oppone allo sviluppo tecnologico.
Gli enti locali, tuttavia, non si sono dimostrati meno corresponsabili, per lo più trincerandosi dietro l’alibi di una normativa nazionale interdittiva nei loro confronti, ma che nei fatti lascia intatta l’autonomia gestionale dei comuni nella elaborazione di regolamenti per disciplinare il fenomeno di proliferazione di antenne e ripetitori.
La Regione Lazio, dopo aver intrapreso nel 2006 un percorso virtuoso, con l’approvazione in Giunta della Proposta di Legge n° 131 "Norme concernenti gli impianti radioelettrici con frequenza di trasmissione fino a 300 GHz e gli elettrodotti", che, a nostro avviso, recepisce i principi delle tre ‘P’ (Precauzione, Partecipazione e Pianificazione), ha lasciato insabbiare il testo nelle pastoie dei veti politici incrociati, contribuendo a perpetuare quel vuoto legislativo e regolamentare nel settore, che rischia di inasprire un forte contenzioso con la società civile.
Basta scorgere l’odg che compone gli argomenti da trattare in Consiglio regionale, in cui la proposta è scivolata ben oltre il 1200° punto, per accorgersi che l’oblio in cui è stata lasciata cadere non lascia speranza di un recupero prima della scadenza naturale della legislatura!
La Provincia di Roma, colta dall’enfasi del “Rinascimento telematico”, come ha definito il suo presidente la necessità di colmare il divario digitale nel territorio, ha approvato e finanziato (senza concertazione con le parti sociali) un Piano di sviluppo e diffusione della Banda Larga con tecnologia wireless, dimostrando profonda sensibilità per le dinamiche della modernità tecnologica, ma scarsissima attenzione ai principi, altrettanto meritevoli di tutela, di protezione della salute dai rischi connessi allo sviluppo dissennato delle comunicazioni senza fili, come hanno dimostrato le preoccupanti vicende sanitarie accadute in altri Paesi europei che, prima del nostro, si sono dotati di una rete Wi-Fi.
Infine, il Comune di Roma, da oltre quattro anni inadempiente rispetto ad una norma dello Statuto che esso stesso si è data, contravviene all’obbligo di portare e discutere nell’Aula consiliare una Proposta di Delibera di Iniziativa Popolare, definita la più straordinaria esperienza di democrazia partecipativa della storia della Capitale, in quanto sottoscritta da ben 23 mila cittadini!
Il Campidoglio, per disciplinare il moltiplicarsi di antenne e ripetitori nel proprio territorio si è affidato ad un Protocollo d’Intesa, mero atto pattizio senza alcun valore, rinunciando a dotarsi – come chiede la Delibera Popolare e come recita una norma del Nuovo PRG – di un Regolamento che avrebbe impedito a Roma di essere etichettata la “Capitale europea a più alto tasso di antenne di telefonia mobile” (oltre 3mila) e, dunque, la più grande “discarica elettromagnetica” del Vecchio Continente!
Viceversa, recentemente il Parlamento Europeo, incalzato dalle notizie dei preoccupanti dati sopra accennati, è intervenuto votando una Risoluzione (4 settembre ’08), in cui chiede al Consiglio di “…fissare valori limite di esposizione più esigenti per tutte le attrezzature che emettono onde elettromagnetiche…”, riabilitando in tal modo il bistrattato Principio di Cautela!
Ora spetta ai Governi dei Paesi membri attenersi a quelle che ci auguriamo saranno le nuove indicazioni impartite per l’Europa in tema di tutela dai rischi dell’inquinamento elettromagnetico.
E in Italia?
Queste ed altre evidenze indicano chiaramente che i limiti attuali fissati dal DPCM del 2003 (che dovevano essere rivisti entro il 2006!) vanno assolutamente ridotti, in nome di quel “Principio di Precauzione”, introdotto nel Trattato istitutivo dell’U.E., recepito dal governo italiano nel testo della buona ma incompiuta legge quadro 36 del 2001 e rimasto praticamente inapplicato.
L’incompiutezza della citata legge 36 si misura anche e soprattutto dai numerosi decreti attuativi di cui essa prescriveva l’emanazione in capo ai ministeri competenti e di concerto fra loro (Ambiente, Salute, Beni Culturali, Lavori Pubblici, ec..).
Per questo scenario poco edificante i governi che si sono succeduti dal 2001 ad oggi hanno una grave responsabilità omissiva: quella di aver affossato l’importante intervento legislativo, rendendolo quasi un atto vuoto e privo di significato.
Basterebbe, pertanto, rendere esaustiva ed applicativa la Legge Quadro per riportare il nostro Paese a livelli di tutela preventiva tali da garantire una efficace gestione del rischio.
Purtroppo il silenzio del nuovo governo in queste prime fasi della legislatura non depone per auspicare a breve interventi incisivi nel settore, mentre nuovi provvedimenti dell’esecutivo e del Parlamento si registrano esclusivamente nell’implementazione dello sviluppo tecnologico delle TLC, con impegno di forti energie ed investimenti mirati a semplificare le procedure di realizzazione delle infrastrutture.
Dunque, da noi si procede in un’unica direzione, quella opposta alla tutela della salute!
Per il Coordinamento
Giuseppe Teodoro
g.teodoro@tiscali.it
Coordinamento dei Comitati Romani contro l'elettrosmog
www.noelettrosmogroma.org
info@noelettrosmogroma.org
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