VITERBO (UnoNotizie.it)
Avrei avuto qualcosa da dire a proposito già da qualche giorno, senza sapere in che modo, poiché non sono giornalista professionista e soprattutto perché la stampa culturale, in particolar modo quella dello spettacolo, non offre possibilità di contraddittorio almeno dagli anni ’60, a Viterbo.
Ma dopo aver letto le parole piene di ardore, scritte dalla felice penna di Alfonso Antoniozzi nel suo ALAMBICCO, sulla nostra Santa (che festeggiamo e della quale tanto parliamo, soprattutto o forse solo in questi inizi di settembre…) mi sono chiesto se era lo stesso spettacolo, quello che entrambi avevamo visto, dato che il cappello del suo articolo citava lo spettacolo di Chiara Palumbo e Paolo Manganiello “C’era una Rosa… il miracolo de ‘na fiarella poveretta e scalza”.
Perché tutte quelle belle riflessioni storiche, agiografiche, dialettali, territoriali, di costume eccetera, fatte da Antoniozzi, io non ce le ho viste proprio. Neanche un po’.
Sono andato a vedere lo spettacolo nella prima delle due serate: pieno di pubblico il bel cortile del Palazzo dei Priori ( “…metà dipendenti della ASL… metà dipendenti del Comune…” dicevano alcuni più attenti di me, tra il pubblico) .
Sono stato attratto da questo spettacolo colpito dal battage pubblicitario che ha riempito incroci e mura della nostra città, ma colpito anche dalla accattivante grafica delle sedie di attesa per il passaggio della macchina: azzeccata quella rossa, che spiccava e che pensavo di ritrovare in scena.
Ma non ve n’era traccia né scenograficamente né drammaturgicamente. Bianco piatto.
Ovvero un susseguirsi di testi, in versi o prosa, più o meno noti agli appassionati di storia viterbese come me, senza un vero legame drammaturgico (“ …cosa che non coincide con il concetto di teatro di narrazione…” commentavano altri più colti di me, tra il pubblico) .
Ma qualcosa mi sento di commentarla anch’io, soprattutto dopo avere letto che proprio questo spettacolo, presentato dalla nuova associazione AstArte, caldamente appoggiata dalla nostra Amministrazione Comunale, rappresenterà Viterbo a fine mese in una rassegna teatrale a Lucca.
Poiché con quei costumi e quella scenografia non si evidenzia ”l’ambiente viterbese medioevale”e con quello strano dialetto in punta di forchetta non si usa “l’antico idioma viterbese”, come dichiarato dai registi alla stampa, prego vivamente, la nascente Associazione di provvedere diversamente e al meglio, come viterbese orgoglioso della mia viterbesità.
Per quello che poi riguarda le mie più strette competenze storiche, prima che la riflessione venga fatta da altri, andrei a rivedere le fonti circa la possibile incongruenza (anche agiografica, è vero) tra la terziaria donna che veste Rosa e la reale data di riconoscimento dell’ordine francescano e sue frange varie.
Ma soprattutto eviterei che persone analfabete come Rosa e il padre usino un libro, per di più a stampa… e che si continui a ripetere che Rosa è così tanto una tenera bambina, perché ricordo che normalmente, a 17 anni, al tempo le donne erano già madri. E da anni.
Si capirà dunque che se l’idea nazional popolare di un’operazione del genere in questo periodo dell’anno poteva essere interessante, secondo me il risultato artistico e culturale lo è molto meno (“…un lavoro che regge con la spontaneità dei ragazzi, come era nato alla Vanni due anni fa… non con un laboratorio teatrale per adulti che non si capiscono nemmeno perché si mangiano mezze parole…” continuavano tra osservazioni tecniche su questo e su quello gli esperti del pubblico, uscendo).
Concludo io, con una considerazione questa mia prima e forse ultima critica teatrale: lo spettacolo e l’Associazione, tanto promossi e tanto sostenuti, certo di Santi in Paradiso ne hanno.
Ma non parlo di Santa Rosa!
lettera firmata
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