VITERBO (UnoNotizie.it)
Il 5 giugno scorso all’età di 63 anni è venuto a mancare Michele Oliviero, fondatore e a lungo Presidente dell’Associazione “per la vita autonoma”, un’organizzazione senza fini di lucro che opera a Viterbo per aiutare i diversamente abili a superare i numerosi disagi che possono incontrare in una società non sempre attenta alle loro esigenze.
Tracciarne il profilo biografico in poche righe risulta impresa impossibile, così ci limiteremo a citare solo le tappe fondamentali dell’ impegno civile di un uomo che, seppur colpito in tenerissima età da distrofia muscolare, era animato da una grande forza e da una spiccata capacità organizzativa, tanto da divenire un vero modello di riferimento per quanti, distanti da ogni interesse e da ogni vanità individuale, hanno deciso di dedicarsi agli altri, prima ancora che a se stessi. Un uomo che fino all’ultimo ha saputo tuonare contro il potere spesso disattento e contro quanti (abili o diversamente abili) si nascondono dietro un dito trovando nicchie di comodo nelle quali coltivare i propri meschini interessi.
La storia del suo percorso per creare una nuova “cultura della diversità” comincia nel lontano 1974 con l’organizzazione, all’interno dell’Istituto Villa Immacolata, di una squadra di basket e di un gruppo di atletica, quando il movimento paraolimpico in Italia era ancora nella sua fase iniziale, intuendo immediatamente che lo sport poteva essere un veicolo, uno strumento di emancipazione per permettere a tutti loro di cominciare a uscire dall’istituto e maturare nuove e stimolanti esperienze in Italia e all’estero. In seguito, nel 1979, utilizzando la legge Regionale 62 del 1974, insieme con un gruppo di circa cinquanta giovani disabili, decide di portare avanti un progetto riabilitativo per vivere al di fuori dell’Istituto, creando le prime case-famiglia. Una svolta fondamentale che dà inizio a Viterbo ad una nuova stagione e rompe le sbarre psicologiche della semireclusione del disabile, reintegrandolo in un contesto sociale e lavorativo.
A ciò fa seguito la creazione dell’Associazione “per la Vita Autonoma”, che si apre all’esterno attraverso attività di vario genere: un servizio di trasporto con vetture provviste di pedane; l’istituzione del servizio civile, che non solo contribuisce a lenire i gravi problemi dei tanti disabili presenti in città, ma è anche e soprattutto una scuola di vita per i giovani; l’organizzazione con la Vitersport di una squadra di Hockey in carrozzina. Ma nasce da qui anche il progetto di presidiare la città, contribuendo all’abbattimento di ogni forma di barriera architettonica, per mettere fine idealmente ad una fase di ghettizzazione e di esclusione, e aprire quella del confronto paritario, che tende ad eliminare l’antiquata concezione del disabile da assistere e tollerare.
Ma su tutto è nel rapporto interpersonale diretto che Michele ha saputo annullare le differenze, disintegrando quello sciagurato imbarazzo di trovarsi di fronte ad un uomo in carrozzina dai movimenti inevitabilmente compromessi.
E la folla di parenti e amici che lo ha onorato nell’estremo saluto avvenuto nella Chiesa di Villanova di Viterbo sabato 6 giugno è la prova tangibile che la coerenza, l’onestà, il rifiuto di ogni facile e inconcludente pietismo da lui sempre espressi, alla fine sono i sentimenti vincenti anche in un mondo che quotidianamente sembra perdersi nelle maglie larghe del non senso. Per una volta, accanto alle autorità politiche e istituzionali con cui per anni, come delegato alle politiche sociali per l’handicap, si è confrontato certo della giustezza delle sue idee, si è riunita una gran quantità di giovani con cui ha saputo dividere momenti di lavoro e serate di allegria. Una massa compatta, commossa, giunta spontaneamente grazie alla sola telefonata di un amico o di un conoscente e unita in un lungo ininterrotto applauso all’uscita del feretro.
Michele lascia un vuoto umano infinito. Ma se è vero, come sosteneva Epicureo, che “la morte non chiude la vita, ma la sostanzia”, crediamo che i tanti progetti che erano nella sua mente e nel suo cuore, con l’aiuto di tutti, potranno essere portati a compimento. Prima di tutto il suo sogno di un Prato Giardino senza più barriere architettoniche, di uno spazio cittadino da far vivere anche a coloro che, meno fortunati degli altri, vorrebbero condividere con il resto della popolazione il piacere di una giornata di sole.
Per tutti, diceva Pavese,”la morte ha uno sguardo”, per noi che abbiamo conosciuto Michele e lo abbiamo amato come si ama un grande vecchio saggio, essa ha i suoi occhi cerulei che, sorvolando la propria sofferenza, si perdevano in un amore infinito per il prossimo. Un amore laico, umano, assoluto. E quando le sue ceneri saranno sparse, secondo la sua volontà, nelle acque chete a largo di Livorno, potremo immaginare che rispuntino ad ogni nuovo raggio di sole. Addio Micky!
Dafne Prisco
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