CAGLIARI (UNONOTIZIE.IT)
Presidente Renato Soru,
So che probabilmente avrà ben altro da pensare, oggi.
Ma mi stava a cuore scriverle subito, sul ferro caldo della sconfitta sua e nostra, per dirle due cose.
La prima può parere inutile e puerile, ma non lo è. Piangere compiutamente la sconfitta è importante quanto gioire legittimamente per la vittoria.
E allora la prima è questa: mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. È importante dirlo.
Più di quanto mi sia dispiaciuto altre volte, per le tante altre sconfitte, di cui ormai abbiamo panoplia e galleria. Mi dispiace di più, stavolta, forse perché ho “preso parte” in prima persona, ho contribuito con scritture e letture alla sua battaglia. Ma non solo per questo, anche perché, facendone parte, ho potuto sentire un’onda di energia, una vampa inconfondibile di presenza, che non sentivo da anni. Mi dispiace che quella vampa non sia bastata, neanche stavolta.
Non è bastato, dannazione, ma è servito. Per capire o confermare una visione.
C’è una tribù dispersa, in giro per l’Italia, distratta e distante, una Compagnia di solitari in esilio dentro i propri cammini, come i Raminghi del Signore degli Anelli, che ostinati procedono in silenzio nell’attesa che passi la nottata. Quella nottata che a ogni sconfitta pare allungarsi, e di cui oggi, sarà pure illusione del lutto, ci sembra di non vedere più la fine.
Ci sono ovunque questi Raminghi, in tutta Italia: io li incontro nei miei giri incessanti per scuole e biblioteche e comuni, sono insegnanti e scrittori e dirigenti scolastici e bibliotecari e librai e tanti altri. Altri li incontreranno in altri mondi, ingegneri, medici, studiosi, giornalisti, giuristi…
Una parte, una sotto-tribù, la parte sarda di questa Compagnia Dispersa, si è radunata nelle scorse settimane attorno a Renato Soru. Ciascuno ha tirato fuori sotto la luce del sole le sue idee, che custodiva in silenzio in attesa di momenti come questo. Ciascuno ha tirato fuori le sue armi, cioè la perizia nel dare forma a queste idee. Forma verbale, musicale, poetica, politica, concettuale: le armi che usava ogni giorno nel suo solitario cammino. E queste forme, queste armi di linguaggio e cultura, scoperte al sole, hanno mandato un confortante sfavillio.
Può sembrare consolatorio sgranare ora il rosario dei distinguo, il “quantitativamente” e il “qualitativamente”. Può sembrare inutile: nelle elezioni vince la quantità, non la qualità. Ma se è consolatorio è ben giusto che lo sia: consolarsi è sana e legittima cura, dopo i rovesci. E grandemente consola poter dire che la qualità etica ed estetica, intellettuale e artistica e umana dei Raminghi che Renato Soru raduna intorno a sé è molto alta.
E forse il sottile invisibile gioco della quantità con la qualità non è solo consolazione, non è inutile mascheramento, ma al contrario può celare sorprese per il futuro.
Ora molti di questi Raminghi, molti di noi, torneranno nei loro cammini dispersi, torneranno in sonno. Ben svegli e attivi, beninteso, in questo sonno. Io per esempio non mi sono mai fermato, posso dirlo senza rischio di enfasi, come nota di fatto. Non ho cessato mai di combattere contro la miseria culturale, contro la cattiveria impoverita, libro per libro, incontro per incontro coi lettori, puntata per puntata di Melevisione. Ognuno tornerà nella sua contea, a combattere la sua battaglia, solitaria o con pochi compagni di imprese. Ma per la Compagnia – e uno scrittore sente in modo curioso queste parole – ora è il “sciogliete le righe”.
E qui viene la seconda cosa, Presidente, che le volevo dire.
Non c’è molto di onorevole nell’offrire la propria opera a un vincitore; è più decoroso offrirla a uno sconfitto. E allora sappia, Presidente Soru, che quando i tempi lo consentiranno, alla minima schiarita nella notte, quando lei riterrà che sia giunto il momento di richiamare a raccolta la Compagnia dei Raminghi, per quello che posso fare e che so fare, io ci sarò.
Bruno Tognolini
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