Nella Sabina, come ovunque, lo sviluppo turistico e la devastazione del paesaggio non vanno d’accordo. Lo avevano ben capito in Umbria e in Toscana, dove tuttavia pure stanno accadendo cose inimmaginabili fino a pochi anni fa: lottizzazioni in piena campagna o a piedi di borghi medievali oppure veri e propri villaggi “neo-medievali” costruiti ex-novo per compratori idioti, capannoni di più o meno estese aree commerciali buttati a caso lungo le strade a veloce scorrimento e spesso anche lungo quelle interne di collegamento fra paesetti sperduti.
Ma in Sabina, accanto a tutte queste cose che purtroppo attualmente accomunano ogni regione italiana in questo sfacelo generale del paesaggio agricolo e naturale d’Italia, purtroppo si assiste al diffondersi d’un morbo tipicamente “meridionale”, che non le sarebbe proprio (anche perché la Sabina non può certo definirsi “meridionale”) e che tuttavia la coinvolge per la vicinanza con Roma: l’abusivismo edilizio. E non è un caso allora se allontanandoci da Roma su qualsiasi statale, o sulla stessa autostrada, le costruzioni offensive al paesaggio diminuiscono progressivamente, quasi per magia. Roma “pesa”, dunque, con le migliaia di pendolari che – messo qualche soldo da parte – vorrebbero sbancare colline e prati in Sabina per farsi la villetta rosa con parabolica, prato inglese, palma e cane abbaiante. Oppure con l’arricchito di turno, magari camorrista, che ha scoperto questa terra di recente e che ha capito come sia facile farsi rilasciare licenze edilizie dagli uffici tecnici dei Comuni della zona… magari grazie a qualche “gratificazione” in busta… per farsi una villona in stile “hollywoodiano”. E se è vero che sul territorio sabino ci sono vincoli paesaggistici e idrogeologici che pesano come macigni, e per i quali non i potrebbe nemmeno alzare un muretto, supposizioni simili vengono spontanee.
E così negli ultimi anni abbiamo assistito al proliferare di questo vergognoso fenomeno, l’abusivismo edilizio, appunto, che ci ha regalato un po’ dappertutto scheletri e scheletroni abbandonati. Edifici bloccati ma non demoliti, secondo una procedura insensata e grottesca che finisce col ferire ancor più il paesaggio rispetto al puro e semplice condonare gli illeciti.
Non molti, certo, in confronto ad altre aree del Lazio (in Ciociaria o intorno ai Castelli Romani ad esempio), o peggio in confronto a tante zone martoriate della Campania, della Calabria o della Sicilia. Ma qui, nella meravigliosa Sabina, dove il paesaggio agreste spesso è più simile a un dipinto che alla realtà, questi ecomostri o ecomostriciattoli pesano troppo, e troppo sono intollerabili. Li ritroviamo a ridosso dei pregiati centri storici di Salisano, Castelnuovo di Farfa, Casaprota, Scandriglia, Fara in Sabina e Toffia, nelle splendide campagne di Mompeo e Passo Corese (più uno grosso e scandaloso nell’intatta e incontaminata campagna fra Torricella e Poggio San Lorenzo) e in più punti nell’area commerciale di Osteria Nuova. Più ad Ovest, verso la Campagna Romana e Sant’Oreste, invece, all’altezza di Ponzano Romano dall’autostrada Roma-Firenze, provenendo da Roma si possono “ammirare”, in alto sulla sinistra, ben tre scheletri di ville in cima ad una collina: freschi, freschi, non si sa se siano abusivi o frutto di una scellerata autorizzazione a costruire. A Nord, infine, nel bel paesaggio fra Rieti e Contigliano l’ennesimo scheletrone appare seminascosto fra i boschi.
Accanto all’abusivismo poi c’è la speculazione, che negli ultimi anni pare aver scoperto la Bassa Sabina come il nuovo “Far West” del Lazio del cemento. Intorno a centri come Poggio Mirteto, Casperia, Cantalupo, Roccantica e lungo la SR 313 da Passo Corese a Montopoli, fervono un po’ ovunque cantieri per la costruzioni di ville a schiera, o singole ville spesso dalle fattezze assolutamente aliene dal paesaggio circostante.
Infine, il paventato “centro intermodale” a Passo Corese, che prevede lo sbancamento di centinaia di ettari di paesaggio sabino, darebbe il colpo di grazia a questo territorio, depregiandolo di colpo e dando il via libera all’edificazione selvaggia che a quel punto avrebbe tutte le carte in regola per svilupparsi a macchia d’olio, anche perché nascerebbe l’esigenza di costruire abitazioni (per lo più palazzoni) per i lavoratori dell’area industriale. E chi sostiene questo scellerato progetto o è uno speculatore o un imbecille. I palazzinari romani, che stanno “sbavando” sulla Sabina, vanno rimandati a casa a calci nel sedere. Gli uliveti della Sabina, le sue fertili campagne, le sue verdi colline, non si devono toccare.
La Sabina è insomma al bivio: la devastazione del territorio non va d’accordo con lo sviluppo turistico, vale a dire con uno sviluppo sostenibile e di lunga durata. L’enorme diffusione di agriturismi negli ultimi anni è stata un segnale di fondamentale importanza per la Sabina, che pian piano ha iniziato a proporsi quale valida alternativa al turismo enogastronomico e culturale che fino a quel momento era stato accecato dagli splendori del Chianti, della Valdorcia o delle colline umbre. Per poi accorgersi di questo “paradiso rurale” a due passi dalla Città Eterna, dove il paesaggio è sempre verde, dove i tramonti sono irripetibili, dove la Primavera è incomparabile, dove l’atmosfera paesana è rimasta quella di sessant’anni fa… e dove i prezzi per mangiare e per dormire sono mediamente la metà di quelli della Toscana e dell’Umbria!
Sapranno gli amministratori locali (ma anche e soprattutto la Provincia e la Regione) difendere, valorizzare e (finalmente) promuovere in modo adeguato la Sabina? Un progetto come quello di un “Parco agricolo e culturale della Sabina” crediamo sia un’idea valida per contrastare gli odierni fenomeni di degrado para-metropolitano. Un parco che non avrebbe gli stessi vincoli restrittivi di un’area protetta tradizionale, non vietando la caccia e la pesca se non in ristrette riserve faunistiche, che fra l’altro in parte già esistono. Un parco vastissimo, che comprenderebbe tutte le aree rurali della Sabina (Sabina Tiberina, Farfense, Lucretile, Turanense e Reatina). Iniziativa interessante sarebbe quella di includere anche le aree storicamente sabine ricadenti in Umbria (i territori cioè di Otricoli, Calvi e in parte di Narni), per dar vita a un grandioso progetto di valorizzazione e promozione dell’intera sub-regione sabina e delle sue peculiarità.
Confidiamo nell’interessamento al progetto delle svariate associazioni ambientaliste e culturali della zona. Qui si deve iniziare a proporre qualcosa di innovativo e costruttivo. Il semplice indignarsi e denunciare i guasti perpetrati in questa terra non basta più. Occorre passare al “contrattacco”. Prima che sia troppo tardi.
dott. Luca Bellincioni
Segr. Ass. Cult. Onlus Oreas