Italia, privatizzazione acqua: la gente insorge - Il problema acqua in Italia non è nuovo alle cronache. Tuttavia, come molti servizi al cittadino, quello dell’acqua mostra una netta disparità tra nord e sud, con risultati quanto mai vergognosi, soprattutto se pensiamo che in alcune zone del bel paese l’approvvigionamento idrico non è fruibile quotidianamente. Nella sua disparità di servizi l’Italia però ha il tasso pro capite di consumo domestico più alto d’Europa, cosa non certo lusinghiera.
La questione idrica ritorna sulle prime pagine dei quotidiani di tanto in tanto, ma passato il momento topico torna sempre nell’oblio, così come è successo con la recente approvazione da parte del Governo del d.l. 135/2009 art. 15 che disciplina la fornitura di servizi pubblici. In seguito alle novità apportate dal decreto si è scatenato un putiferio in merito alla privatizzazione degli enti che in futuro forniranno questi servizi.
Le contestazioni si snodano su due fronti, uno di carattere ideologico e l’altro di carattere economico.
La prima corrente di pensiero afferma il concetto di acqua come fonte di vita e di conseguenza come bene pubblico, l’altra si scontra con una privatizzazione a metà, che ci porterà solo ad un aumento dei costi.
Le polemiche hanno avuto inizialmente una certa eco,ma passata l’onda della ribalta sono ricadute nell’ombra.
Il problema dell’approvvigionamento idrico in Italia resta.
La paura per questa privatizzazione, che sembra un’incognita, in realtà si rivela come una realtà già ben radicata nelle nostre amministrazioni.
Questo processo è già iniziato da tempo nel Lazio con Acea e in Toscana con Publiacqua, dove per altro è ormai attivo da tempo, ma non oseremo dire ben collaudato in nessuno dei due casi. Infatti, in entrambe le regioni non solo non c’è stato alcun investimento teso ad ammodernare e migliorare le infrastrutture e le questioni ambientali, tuttavia si è verificato un aumento dei prezzi che in certi casi ha raggiunto dei livelli esorbitanti, come accaduto di recente ad Aprilia ( Latina ) con aumenti dal 50 al 300%.
Dunque, il decreto Ronchi non fa altro che continuare un processo di privatizzazione già iniziato, stringendo solo i tempi.
Il decreto quindi non apporta alcuna novità, ma si adegua alle imperanti leggi di mercato e per giunta risulta incompleto, perché è sprovvisto di una figura addetta la controllo degli enti fornitori, una figura che sia al di sopra delle parti, e che non sia di dubbia partecipazione e soprattutto che controlli le tariffe e imponga i dovuti investimenti.
Nelle regioni dove l’acqua privatizzata è già una realtà, i prezzi superano quelli delle regioni a gestione comunale, dove la media della spesa al metro cubo si piazza tra i primi cinque paesi europei in cui l’acqua costa meno, e certo questo è un dato positivo, ma non per molto.
Tuttavia, il vero problema dell’Italia è la contraddizione! Il nostro sistema idrico, e non solo, fa acqua da tutte le parti, ma lo Stato pensa ad investire miliardi di euro per costruire il Ponte sullo stretto, e poi nel bieco miraggio di far funzionare meglio i servizi li privatizza, sapendo bene che senza controlli si continuerà così fino al collasso. I
l nostro vero problema sono gli impianti di raccolta e distribuzione delle risorse idriche, impianti vecchi di quasi cinquant’anni che inquinano e disperdono una quantità d’acqua pari al 30% di quella che esce dai vari acquedotti, insomma uno spreco esagerato, che da solo basterebbe a risanare in pochi anni molti fatturati in perdita.
La mancanza di investimenti non è un problema recente, l’Italia ha iniziato a diminuire le risorse da tempo, si calcola che dal 1985 al 1995 la riduzione di investimenti sia stata del 71%, senza contare i fondi messi a disposizione dalla comunità europea che l’Italia non ha utilizzato in tempo.
Il Governo tutto ha quindi fatto apparire questo passaggio di consegna come un modo per migliorare i servizi, ma le associazioni dei consumatori non la pensano così, difatti alla domanda di rimodernamento, rivolta ai Privati, da più parti giunge come risposta un aumento delle tariffe per sostenere i costi relativi alle infrastrutture, lavori che certo dovranno avere un rientro economico.
Altro fatto con cui lo stato tiene alta la sua scelta è la maggiore trasparenza del servizio che dovrebbe garantire una diminuzione della corruzione,cosa che invece sembra essere assolutamente inverosimile, semmai sarebbe il contrario.
Insomma il problema dell’acqua non è ancora sentito come una priorità da parte dello Stato italiano, sordo di fronte agli avvertimenti che la natura ci sta lanciano e che prefigurano un mondo che fra poco più di vent’anni avrà bisogno di molta più acqua di quanta ne produce e l’acqua sarà il nuovo business.
I paesi ricchi, dal punto di vista idrico, come la Russia già si preparano ad invadere i mercati e noi?
Noi dovremo pagare per vivere!
Irene Galati
- Uno Notizie Italia - Roma -