Tarquinia, Etruschi - Nei decenni a cavallo del 1870, si apriva a Corneto-Tarquinia un eccezionale scenario di scavi e scoperte.

Tra i prestigiosi reperti portati alla luce nella necropoli dei Monterozzi, i grandi capolavori della ceramica attica non potevano non conquistare un gruppo di qualificati artisti locali, che si lasciarono assuefare all’arte del “falso etrusco”.

Il più attivo, nonché più abile nell’imitazione dei vasi antichi fu Antonio Scappini di Serafino, come amava firmarsi secondo alcuni in onore del padre, secondo altri aggiungendo al suo nome il patronimico per distinguersi da un suo omonimo, anche questo pittore e ceramista, figlio di Agapito.

La passione per quella fiorente civiltà che aveva popolato la sua terra natale lo coinvolse a tal punto che, in occasione del carnevale del 1886, organizzò una “mascherata” in stile etrusco, che venne riproposta anche per le vie di Roma.

Ad animare le sue riproduzioni, oltre ad un’indubbia capacità pittorica, fu lo studio attento dei procedimenti tecnologici adottati dai ceramisti antichi, ad iniziare dall’analisie dalla preparazione dell’argilla, tanto da essere ricordato da Luigi Dasti, primo sindaco della cittadina tirrenica, come lo scopritore del segreto con cui si produceva quella “pasta raffinata”.

In effetti, le sue imitazioni raggiunsero una perizia tecnica e un livello stilistico così elevati che le sue opere, non solo vasi ma anche oggetti d’uso quotidiano e rituale, vennero esposte in diverse mostre d’Italia e d’Europa vincendo prestigiosi premi, come la medaglia d’oro a Utrech in Austria, nel 1876, e furono ricercate in vari musei, dove sono ancora oggi conservate.

Scappini spesso veniva chiamato a restaurare le ceramiche rinvenute durante gli scavi, come testimoniava il Dasti che ricorda come questo artista riuscisse a ridare ai vasi la lucentezza originaria.

Abile nel restaurare i reperti rinvenuti era anche il ceramista pisano Sesto Sbrana, nato a S. Michele degli Scalzi, si trasferì a Corneto nel 1866, fu allievo e collaboratore di Pietro Ghignoni, ma anche di Scappini. Nel 1869 aprì una bottega dove produceva vasi da giardino di particolare foggia, per una committenza facoltosa, successivamente, venne persuaso dal suo maestro a dedicarsi alla produzione di vasi di imitazione.

Della sua attività ci rimangono alcune precise testimonianze. Pietro Ghignoni, pittore, incisore e ceramista, tra tutti gli artisti cornetani risultò la figura più poliedrica, riuscendo a padroneggiare diverse tecniche: disegno a sfumino, acqueforti, pergamene, dipinti a tempera e olio su tela o tavola, e soprattutto formelle in ceramica, in cui sembra primeggiare.

La sua attività di imitazione di vasi etruschi si inserisce negli anni che vanno dall’inizio del secolo fino al 1910: anfore panatenaiche, crateri a colonnetta e kylixes, realizzati dal suo collaboratore, Sesto Sbrana, furono da lui graffiti e dipinti con una tale abilità da risultare autentici. Di altri artisti che in quegli stessi anni si dedicarono all’attività ceramica, Alessandro Calandrini (1870-1951) e Egidio Querciola (1870-1949), non è stato possibile reperire le opere.

Le copie di questi artisti, travalicando il mero aspetto commerciale di produzioni seriali, sono lavori qualitativamente elevati, riproduzioni di pezzi di un certo prestigio, la cui importanza si evince ancor di più quando gli originali sono momentaneamente indisponibili e l’occasione di tale iniziativa lo dimostra.

In seguito alla decisione del Ministero dei Beni Culturali di dare in prestito fino al 2012 al Metropolitan Museum di New York, la celeberrima kylix dipinta dal ceramografo attico Oltos (510-500 a.C.), uno dei pezzi più prestigiosi custoditi all’interno del Museo di Tarquinia, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale è riuscita, con il sostegno della Società Tarquiniense d’Arte e Storia, ad avere in prestito dai Musei Vaticani la copia di tale opera realizzata da sul finire dell’800 da Antonio Scappini.

Nella mostra dedicata a Antonio Scappini all’interno del Museo Archeologico Nazionale, curata dalla Direttrice Maria Cataldi Dini, oltre alla copia della kylix di Oltos, saranno esposti altri materiali che testimoniano la sua abilità di restauratore e di imitatore; l'importante mostra rimarrà allestita fino al 2012.

Contestualmente la stessa Società Tarquiniense d’Arte e Storia ha pensato di raccogliere all’interno del Museo della Ceramica d’uso a Corneto, tutte le ceramiche ancora reperibili prodotte da questi artisti, in particolare da Sbrana e da Ghignoni, grazie alla disponibilità dei loro discendenti che ne sono attuali tenutari.

Oltre alle copie di originali conservati in gran parte nel Museo di Tarquinia, altre ceramiche, soprattutto nella decorazione, tradiscono le tendenze artistiche del tempo e si legano a quel “gusto etrusco”, che aveva imperversato in Europa, a partire dal ‘700, sulla scia delle grandi scoperte archeologiche.

Tale stile in realtà di etrusco aveva solo il nome e si legava alla falsa convinzione che le ceramiche rinvenute all’interno delle sepolture d’Etruria fossero prodotti locali, quando in realtà si trattava di prestigiosi vasi di importazione realizzati da ceramisti attici.

La massima espressione di questa tendenza venne raggiunta in Inghilterra con la manifattura di Joshua Wedgwood, denominata “Etruria”, che produceva vasi “all’antica”, ispirandosi alle stampe del collezionismo contemporaneo, rielaborandole liberamente. Tale produzione ebbe un successo enorme con riflessi da Sevrès a Capodimonte.

La mostra dal titolo La ceramica a Tarquinia tra riproduzione e innovazione. I cornetani: Scappini, Sbrana, Ghignoni, a cura di Luciano Marziano e Alessandra Sileoni, è stata possibile grazie al contributo dell’Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport della Regione Lazio e all’aiuto fornito dagli archeologi dell’Associazione ArcheologicaMente onlus.

L’iniziativa si propone di riportare alla memoria l’attività di questi artisti, il cui merito principale e quello di aver trasmesso le conoscenze tecniche antiche alle generazioni future, alimentando la produzione ceramica fino ai giorni nostri, di cui la Società Tarquiniense d’Arte e Storia si propone di analizzare gli esiti in prossime manifestazioni.

Suggestiva a tal proposito è l’immagine tralasciataci da Alberto Savinio in visita a Tarquinia, ospite del grande poeta Vincenzo Cardarelli, che vide Sesto Sbrana, ormai anziano, lavorare all’interno della sua bottega:

“…l’opera di quel vasaio, il lavoro di quell’artigiano fu per noi la vivente testimonianza di come nacque l’antichissima e misteriosa civiltà degli Etruschi, come si formarono quei vasi che avevamo visti al Museo Vitelleschi”. (A. Savinio, Ascolta il tuo cuore, città)

La mostra è stata dedicata al maestro Lorenzo Balduini, pittore affermato e instancabile studioso, che più volte si è soffermato ad analizzare le personalità di questi artisti: scelta doverosa nei confronti di una delle figure più dinamiche e prolifere all’interno della S.T.A.S.

Ricordiamo che il Museo Nazionale Etrusco di Tarquinia è aperto, tranne il lunedì,  tutti i giorni dalle ore 8.30 alle ore 19.30 con orario continuato, la biglietteria chiude un'ora prima.   


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