L’arrivo
dei nuovi detenuti è
stato festeggiato con uno
sfarzoso
spettacolo
pirotecnico. Infatti,
nella strada adiacente il noto penitenziario viterbese, sono scoppiati diversi fuochi di artificio,
proprio a ridosso delle mura del reparto dove sono
reclusi
i detenuti dell'alta sicurezza, diversi pericolosissimi boss.
Il
gravissimo
episodio accaduto a Viterbo
è
riportato,
con relativa foto, nel sito ufficiale dell' USPP (Unione Sindacati di Polizia Penitenziaria) che sottolineava,
in
riferimento all’ arrivo dei nuovi boss, che
quanto
accaduto “dimostra quale sia l’attenzione nei loro confronti, per la quale
Viterbo necessiterebbe di un urgente incremento di personale,
attualmente insufficiente a garantire le attività dedite al
controllo e
alla vigilanza. La Polizia Penitenziaria
continua a chiedere un intervento immediato, che porti altro personale tra le sezioni. Siamo sotto di 70 agenti».
Non
tutti sanno che nel
carcere di Mammagialla a Viterbo sono reclusi boss molto pericolosi,
tra questi anche Salvatore
Madonia, conosciuto come Salvino o Salvuccio, nato a Palermo il 16
agosto del 1956.
È
figlio dello storico boss di mafia Francesco Madonia, condannato
all’ ergastolo nel processo “Borsellino ter”. Quando il padre
finì in carcere, nell’87, Salvatore cominciò a rappresentarlo
nella commissione provinciale di Cosa Nostra.
Madonia si trova in
carcere dal 1991, condannato al 41 bis dal 10 luglio del 1992. E’
rinchiuso a Mammagialla dal 6 aprile 2014.
Salvatore
Madonia è stato condannato a più ergastoli per associazione
mafiosa, omicidio, traffico di armi, spaccio di droga ed estorsione.
Secondo i magistrati da tempo sta tentando di
riorganizzare Cosa Nostra per il dopo Riina.
Un altro pericoloso boss, questa volta di camorra, è Michele Omobono,
detto ”o’ marsigliese”.
65
anni, già detenuto a Mammagialla per altri reati, è stato
condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo per gli
omicidi in concorso di Giuseppe Verdoliva e Antonio Martone avvenuti
nel 2004. Michele Omobono è uno degli esponenti più efferati della
faida di camorra di Castellamare di Stabia.
Insieme
a loro sono reclusi altri pericolosissimi boss di camorra, mafia e
‘ndrangheta.
E
che dire della
criminalità organizzata fuori
del carcere di
Viterbo e
nella Tuscia?
Ce
ne è molta,
ma lavora sotto traccia ed
ha
puntato gli occhi sul tessuto economico locale, nell’intento di
ripulire denaro investendolo
in attività legali. Così
Viterbo
e la
Tuscia stanno
diventando
una lavatrice di soldi sporchi.
A
guardarla, però, quella
di Viterbo sembra
una sorta di provincia “babba”
(che
vuol dire stupida)
del Lazio, per utilizzare un vecchio appellativo con cui in Sicilia
si indicavano le 3
province che negli anni ’80 e
’90
sembravano essere fuori dal controllo di Cosa nostra: Siracusa,
Ragusa e
Messina.
Eppure,
esattamente come nell’isola in quegli anni, anche per la città
di Viterbo e la sua
provincia le cose potrebbero non essere come sembrano.
Proprio
sull’asse dei sodalizi criminali, che hanno in mano il traffico di
droga nella provincia, si dipanano molti altri affari criminali che
l 'attraversano.
In
quella che è una delle più belle e caratteristiche province del
Lazio, oltre alle tracce storiche degli Etruschi, dei romani e dei
Longobardi, troviamo anche quelle di sei gruppi criminali, che dagli
anni ’70 ad oggi, hanno - a più riprese - contaminato il
territorio.
Si
tratta di gruppi qualificati di ‘ndrangheta riconducibili alla
cosca Mammoliti, al clan Libri, Zumbo-Gugliotta, al clan Mollica e
Nucera. E non solo, a fare affari sul territorio sono, sotto traccia,
molti boss che afferiscono dalla Capitale e operano con metodo
mafioso. E altre organizzazioni criminali di nuova formazione.
Solo
per citarne alcune, nell’aprile del 2013 l’inchiesta “Eldorado”
della
Dda di Reggio Calabria individuò le proiezioni del clan Nucera ed i
legami con gli imprenditori locali. Al telefono, l’imprenditore
viterbese Alberto
Corso veniva
definito “contrasto
onorato”:
all’ interno dei Nucera. Gli ‘ndranghetisti volevano fare di
Canepina "una
Gioia Tauro 2 ",
come si augurava Domenico
Nucera in
un’intercettazione. Per Corso, i Nucera erano fratelli.
Lui lo
chiamavano “compare”,
“Roberto”,
“Roby”.
La
zona dei piccoli paesi di Canepina
e Graffignano
è ritenuta, dunque, “a
rischio”
dagli
investigatori che seguono con attenzione quello che accade nelle
cittadine.
Nella
provincia viterbese opera principalmente la 'ndrangheta con le
organizzazioni criminali ‘Ndrina
Zumbo/Gug.liotta – ‘Ndrina Mammoliti – ‘Ndrina Libri –
‘Ndrina Mollica – CLan Sarno.
Sempre
nel viterbese poi si affaccia da anni “l’ombra
oscura”
dei
Casamonica come racconta l’inchiesta “Fire”
del
2008.
Da
fonti investigative la presenza dei Casamonica viene considerata
minacciosa non solo a Viterbo, ma anche per l’area di Tarquinia e
Montalto di Castro dove
contano decine di attività.
I
“reati
spia”
e
gli attentati incendiari
sono
il termometro di una infiltrazione lenta ma costante, invece, in
tutta la provincia. A Viterbo i clan operano sapientemente sotto
traccia per non attirare l’attenzione di investigatori e
magistratura e - lontani dalla pressione investigativa del Basso
Lazio - provano a riciclare denaro, a praticare usura e governare il
traffico di droga che attraversa l’area al confine fra Toscana e
Umbria.
Basti
ricordare che con
un blitz i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria
arrestarono
22 soggetti appartenenti e contigui alla 'ndrangheta nella sua
articolazione territoriale denominata ''locale di Galliciano'',
operante a Condofuri (Rc) e territori limitrofi, nonché nella
provincia di Viterbo, dove venivano riciclati i proventi illeciti
dell'attività mafiosa.
L 'ordinanza
di custodia cautelare fu emessa - su richiesta della Direzione
distrettuale antimafia - dal G.i.p. presso il tribunale di Reggio
Calabria. I destinatari del provvedimento vedevano contestata l’associazione
di tipo mafioso; detenzione illegale di armi comuni da sparo;
concorso in riciclaggio; concorso in impiego di denaro, beni o
utilità di provenienza illecita. Il tutto con l 'aggravante delle
finalità mafiose ex art 416 bis del Codice penale.
Nel
corso dell 'attività investigativa, avviata nel settembre del 2009 i
carabinieri hanno accertato come nel comune di Condofuri (Rc) siano
operanti 3 locali di 'ndrangheta: Condofuri Marina, San Carlo e
Gallicianò.
Le
indagini hanno ulteriormente consentito di confermare e documentare
le attività criminali e le sue dinamiche interne, anche attraverso
l 'assegnazione di cariche e gradi.
Le
investigazioni hanno inquadrato le attività della famiglia a capo
della locale di Gallicianò ed hanno permesso di individuare un rodato
sistema di riciclaggio di denaro che, partendo dalla Calabria, era
ripulito attraverso le ditte ubicate nella provincia di Viterbo, per tornare
successivamente nel capoluogo reggino.
Contestualmente
all' esecuzione del provvedimento restrittivo, fu eseguito un decreto
di sequestro probatorio di 6 aziende, operanti nel settore dei
trasporti, ortofrutticolo e immobiliare.
Le
indagini furono coordinate dal procuratore capo di Reggio Calabria,
Cafiero de Raho e dal procuratore Aggiunto, Nicola Gratteri.
La
pressione di alcuni gruppi criminali si fa sentire anche nei
confronti delle istituzioni e dei cittadini. Infatti
più
recentemente a
Viterbo si
è ben capito che la
ferocia per i clan è un marchio di fabbrica e un biglietto da
visita. Lo hanno mostrato le famiglie lametine quando hanno cercato
di prendersi la
città di Viterbo
con una stagione di attentati e intimidazioni anche
nei confronti degli stessi carabinieri.
Mafia
viterbese, fu mafia.
E’
l’operazione
Erostrato, dei carabinieri del Nucleo investigativo, che porta in
manette il sodalizio mafioso capeggiato da Ismail Rebeshi e Giuseppe
Trovato. Hanno
tenuto
in ostaggio, insieme
ad altri “sodali”
la città di Viterbo tra il 2016 e il 2018, con minacce, attentati
incendiari ed estorsioni.
Una
mafia piccola, perché piccolo è il suo raggio d’azione, ma
spietata e con tutti i crismi della criminalità organizzata, hanno
sempre sostenuto i magistrati.
Spirito imprenditoriale e anima violenta. In
questo caso più che una costola della ‘ndrangheta, un gruppo radicato sul
territorio che, semmai, alla ‘ndrangheta e alla mala albanese si
ispirava, producendo terrore e omertà.
Contro chi lo ostacolava nel
disegno di controllo di
Viterbo
il clan scaricava la sua vendetta: i compro oro concorrenti a Trovato
dovevano chiudere, intimiditi con incendi, buste con proiettili,
animali sgozzati e lumini votivi davanti alle saracinesche.
A fuoco
anche le macchine di carabinieri e di avvocati che avevano come sola
colpa quella di fare il proprio lavoro.
Dopo
quanto avvenuto in passato, lo spettacolo
pirotecnico, per dare il benvenuto a Viterbo ai 300
detenuti arrivati a Mammagialla,
è veramente inquietante.
A.
Angela