Recentemente le due maggiori Accademie italiane, quella della Crusca e quella dei Lincei, unitamente all’ASLI (Associazione per la Storia della Lingua Italiana) hanno lanciato un appello volto alla tutela dell’Italiano, ormai in preda ad una lenta agonia. Il documento “Lingua italiana, scuola, sviluppo” è stato firmato dal Prof. Francesco Sabatini, presidente della stessa Crusca, in seguito ai rilevamenti effettuati dall’OCSE PISA, dai quali emerge l’incapacità degli Italiani non solo a scrivere correttamente, ma anche a comprendere un testo (il 38 per cento degli italiani legge con difficoltà una scritta semplice, il 33 per cento non comprende un testo complesso). In tali classifiche internazionali, peraltro, gli Italiani occupano gli ultimi posti per competenze linguistiche e, paradossalmente, gli studenti di italiano all’estero sono addirittura più preparati dei nostri riguardo alla morfologia, la sintassi, il lessico.
Sono stati perciò proposti sia un "deciso rafforzamento dell'italiano nell'insegnamento scolastico di ogni ordine e grado", sia l'attivazione di una "formazione universitaria degli insegnanti in grado di dotarli delle competenze alte della storia e delle struttura della nostra lingua".
Lo stesso Prof. Sabatini, infatti, evidenzia come spesso siano gli stessi insegnanti a rifiutare la grammatica, nella convinzione che, secondo quanto sosteneva Croce, chi sa bene la Letteratura possa tranquillamente insegnare anche la Lingua italiana. A ben guardare, però, solo il 10 % degli insegnanti di Italiano ha affrontato lo studio della Linguistica o della Storia della Lingua Italiana, discipline affascinanti e soprattutto basilari per potersi muovere in un panorama talmente vasto quale è quello della nostra lingua. Si è così proposto di scindere a scuola le ore di lezione dedicate alla lingua da quelle invece preposte alla lettura dei testi.
In quanto insegnante ed appassionata di Linguistica Italiana, denuncio la situazione con un po’ di rammarico. Ho modo di verificare quotidianamente tale impoverimento linguistico, cui indubbiamente contribuiscono sms, chat, nonché i programmi televisivi più in voga tra i giovani, reality in primis, i quali banalizzano e deformano l'italiano, trasmettendo un messaggio molto rischioso: la cultura non serve. Un discorso a parte meriterebbe il dialetto, bene che va tutelato nella inevitabile consapevolezza dell’esistenza di diversi registri linguistici da utilizzare sulla base del contesto.
Come ha affermato il filologo Cesare Segre, «chi non sa usare i registri crea situazioni d’imbarazzo, e può persino offendere, quasi ricusasse le differenze tra le categorie e le funzioni sociali». I giovani in particolare ignorano tali registri, come quando non riescono, in un contesto scolastico, a formulare una frase dando del “Lei” all’insegnante, non riconoscendo quindi il ruolo dell’interlocutore, oppure sfociando inconsciamente nel turpiloquio.
«Una padronanza medio-alta dell'italiano è un bene per il Paese e il suo sviluppo culturale ed economico», afferma Sabatini. Sarebbe perciò necessaria una politica volta a rafforzare l’insegnamento dell’Italiano per tutti i cittadini e i professionisti.
L’importanza della capacità di usare un registro alto è stata evidenziata da Cesare Segre quale elemento che conferisce anche “maestà” ad un personaggio politico, che adoperando un registro medio si guadagnerà la simpatia degli ascoltatori ma, sicuramente, col tempo perderà la propria autorità.
Anche a tale proposito si è espresso il Presidente della Crusca, affermando la necessità di una scuola che trasmetta una conoscenza della lingua tale da consentire di opporsi alla massificazione che viene dall’alto e quindi alla facile assoggettabilità al potere. In breve, la scuola dovrebbe favorire lo sviluppo di quella capacità critica che permette di evitare i pericoli legati all’eccessiva semplificazione del linguaggio.
Silvia Graziotti
(Coordinatrice del Partito “Io Amo l’Italia” per Viterbo e provincia – www.ioamolitalia.it)
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