MONTEFIASCONE (UnoNotizie.it) L’ultimo prodotto della splendida carriera del regista statunitense Abel Ferrara, che ha chiuso l'Est Film Festival a Montefiascone, è la docu-fiction “Napoli, Napoli, Napoli”, attualmente in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. L’opera è insieme un ritratto della città e un’analisi profonda delle persone che la abitano, alimentando giorno dopo giorno il contrasto tra vivacità e crudeltà che tanto richiama il background della formazione del regista.
Ferrara, infatti, nasce e cresce nel Bronx di New York. La famiglia è di origini italo-irlandesi, il padre è un allibratore, spesso invischiato nel mondo delle scommesse clandestine, e la figura centrale dell’infanzia sarà il nonno, emigrato negli Stati Uniti all'inizio del secolo. Al mondo del cinema comincia ad appassionarsi da adolescente quando, nei corridoi del liceo, conosce Nicholas St. John che diventerà il suo fidato sceneggiatore. La simbiosi umana e professionale, che unirà i due per molti anni, non consente una facile distinzione tra la scrittura di St. John e l’impronta registica di Ferrara. Sia nel linguaggio cinematografico sia nella struttura narrativa, il suo cinema finisce sempre per mettere a dura prova lo spettatore, lo spiazza, lo indispone, suscitando in lui giudizi forti ma non lasciandolo mai indifferente.
Ferrara è un autore dalla personalità controversa e discontinua, trasgressiva e provocatoria, tra le più affascinanti e discusse dello scenario cinematografico americano. La sua poetica si nutre di storie estreme, al limite dell'umano, di parabole che vedono protagonisti peccatori, depravati e perdenti sullo sfondo dei luoghi urbani degradati come quelli che hanno popolato la sua infanzia. Sembra che la macchina da presa non riesca a filmare niente altro che la New York più infima, malata, primitiva e dominata da un violento istinto di sopravvivenza in cui vince il più forte e in cui le dinamiche sociali conducono automaticamente all’alienazione e alla rovina.
Ferrara vede la sua città come una terra di uomini marci e corrotti, degenerati e maledetti, in continua oscillazionetra colpa e innocenza, vizio e virtù, spiritualità e perversione, alla costante ricerca di un’ultima possibilità di redenzione. Apoteosi di queste tematiche è la cosiddetta “trilogia del peccato” (Il cattivo tenente, Occhi di serpente, The Addiction), realizzata fra il 1992 ed il 1995. Anche in questi film i personaggi sperimentano prima un inferno e poi un purgatorio, prima assaporano il peccato e poi tentano una miracolosa quanto improvvisa espiazione, secondo un destino inesorabilmente costretto a declinare nel nulla.
Una realtà che tanto ha in comune con quella filosofia di Nietzsche per cui il nichilismo è un evento che porta con sé decadenza e spaesamento, tanto da costituire una sorta di malattia che affligge il mondo moderno e che conduce il soggetto morale ad una finale disgregazione. Ferrara è il portavoce dell’eccesso, della perversione, della sfrontatezza, della ribellione anarchica. E’una mosca bianca che con coraggio continua a compiere un personalissimo cammino fuori dall’omologazione che oscura troppo spesso il cinema americano.
Elisa Ignazzi
- Uno Notizie Montefiascone (Viterbo) -
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