TUSCIA -VITERBO-(UnoNotizie.it)
Nel cuore dell’Alta Tuscia si trova il Sentiero dei Briganti che parte dalla Riserva Naturale di Monte Rufeno, presso Acquapendente, e conduce fino all'oasi WWF di Vulci, dopo aver toccato le rive del lago di Bolsena, attraversato la selva del Lamone e passato la rigogliosa pianura della Maremma. Il percorso, insomma, inizia nella natura e nella natura si conclude, seguendo come filo conduttore un itinerario storico che testimonia la nascita, lo sviluppo e la scomparsa del triste fenomeno del brigantaggio che condizionò la vita nell’Alta Tuscia tra la prima metà dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.
Il sentiero, percorribile a piedi, in bicicletta o a cavallo, è dotato di un’apposita segnaletica direzionale e di un apparato illustrativo con oltre cinquanta pannelli informativi che narrano la storia dei luoghi, ne descrivono la natura, illustrano le peculiarità dei paesi coinvolti e ricordano le drammatiche vicende dei disgraziati protagonisti. I briganti erano delinquenti fuorilegge, spesso costretti alla latitanza, che minacciavano, rubavano, rapivano, ferivano e uccidevano per garantirsi la sopravvivenza e tutelare gli interessi loro e dei loro protetti.
Nemici dello Stato, della Chiesa e di ogni altra istituzione, si mettevano al soldo dei grandi proprietari terrieri per combattere le rivendicazioni dei poveri lavoratori. Domenico Tiburzi da Cellere, detto Domenichino ma meglio noto come il "re del Lamone", fu il più famoso brigante della Maremma, il maestro per eccellenza in questa sottile arte criminale e non tanto per le sue doti di crudeltà o di coraggio, ma per l’organizzazione che seppe imprimere alla sua banda a cui attribuì una struttura quasi aziendale, costituendo un’“associazione per delinquere di stampo mafioso” ante litteram. Il suo regno durò a lungo proprio in virtù degli equilibri che riuscì a stabilire, evitando accuratamente di scontrarsi con la polizia e garantendo protezione ai possidenti in cambio di un regolare compenso la tassa del brigantaggio.
La fedina penale di Tiburzi si sporca molto presto a sedici anni era già ricercato, accusato di furto. Dopo vari reati si diede alla macchia e così inizia la sua storia da bandito. Nel 1869 fu arrestato e condannato dal Tribunale di Civitavecchia a 18 anni di galera da scontarsi a Corneto, presso Tarquinia. Tre anni dopo evase insieme a Domenico Annesi (detto "l'Innamorato") e Antonio Nati (detto "Tortorella"), rifugiandosi nelle macchie della zona castrense dove si unì ad altri latitanti. In questo periodo entra in scena Domenico Biagini di Farnese (detto "il curato" perché molto credente), con il quale Tiburzi strinse un duraturo patto di alleanza. Nell’ottobre del 1896, a Capalbio, in provincia di Grosseto, fu catturato ed ucciso dai militari dopo ben 24 anni di latitanza. Dopo la morte Tiburzi diventò un mito, un eroe popolare, una sorta di paladino della giustizia nel Lazio e in Toscana, specialmente nella provincia di Grosseto. La sua fama e la sua leggenda continuano ancora oggi ad imperversare e ad intrattenere:nel 1996 al famoso brigante è stato dedicato un film diretto dal regista pisano Paolo Benvenuti e intitolato proprio “Tiburzi ”.
La pellicola è un viaggio nella memoria che ricostruisce gli ultimi giorni del bandito prima della cattura, sullo sfondo di un territorio, quello della Maremma, dove la civiltà agropastorale si fonde con i segni di civiltà antichissime. Il Sentiero dei Briganti, che un tempo era un territorio di frontiera, oggi si è trasformato in un grande comprensorio ricco di storia e di natura intatta. E’ l’occasione per scoprire un territorio poco conosciuto, sulla scia di vicende realmente accadute e leggende, tramandate di bosco in bosco, che hanno lasciato tracce indelebili in molte contrade dell'Alto Lazio, alimentando ancora oggi storie e racconti dai contorni mitici.
Elisa Ignazzi
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