TUSCIA -VITERBO- (UNONOTIZIE.IT) Per diverso tempo negli scritti sul cinema non vi è stata una teoria dell’identificazione in senso stretto ma, al contrario, un uso molto generalizzato di questa parola impiegata per designare essenzialmente il rapporto soggettivo che lo spettatore poteva intrattenere con i personaggi del film, in sostanza quell’esperienza che consiste nel condividere, durante la proiezione,i sentimenti dei personaggi, mettendosi al loro posto. Da questo uso corrente della nozione di identificazione emerge che essa si riferisce ad una identificazione con il personaggio, vale a dire con la figura dell’altro, con il simile rappresentato sullo schermo. Grazie agli studi di Jean Louis Baudry, all’interno della sua opera L’Effet Cinema del 1978, è stato possibile distinguere per la prima volta nel cinema un nuovo tipo di identificazione: l’identificazione primaria. Fino ad allora mai teorizzata, si riferisce all’identificazione con il soggetto della visione, con l’istanza rappresentante, con ciò che mette in scena lo spettacolo, con ciò che non è visibile ma fa vedere. Questa identificazione affonda le sue radici nel modo in cui funziona l’apparecchiatura cinematografica stessa: la cinepresa infatti ripropone una idea di spazio organizzato sulla base della prospettiva centrale come la pittura quattrocentesca. Il punto da cui si dipartono le linee prospettiche coincide con l’occhio dell’osservatore che si trova così a dominare la realtà, si trova al centro della rappresentazione ma, nello stesso tempo, se ne distacca grazie alla presenza del un punto di fuga. Lo spettatore acquista un ruolo centrale anche per il modo in cui è organizzata la proiezione cinematografica che sembra riproporre il dispositivo alla base dello stadio dello specchio di Lacan: la sala buia ripristina l’estrema concentrazione visiva e uno stato di sovra-percezione, le poltrone nelle quali sprofondiamo ci riconducono ad uno stato di sotto-motricità. Appunto perché il cinema riproduce una fase essenziale della formazione dell’io, lo spettatore davanti allo schermo è come il bambino davanti allo specchio. Guardando delle immagini che si ricompongono man mano fino alla loro completezza, ripercorriamo quella fase che ci ha portati a vederci per la prima volta nello specchio interi e fuori di noi. Sotto questo aspetto il cinema è un vero e proprio dispositivo psichico ausiliario, è una macchina simulatoria che ci costruisce come soggetti. ( seconda parte)
ELISA IGNAZZI
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