VITERBO - (UNONOTIZIE.IT) - Sarebbe stato utile intervenire nel merito delle scelte dell’amministrazione comunale per la nuova toponomastica stradale, e farlo per tempo, al fine di consentire un partecipato ed ampio confronto pubblico.
Spesso queste scelte provocano aspre controversie e, sovente, sono state viste e vissute come il tentativo di consolidare strategie culturali e ideologiche di parte. In fondo la storia si può reinterpretare anche in questo modo.
Non di meno sono da considerare momenti importanti, situazioni nelle quali la comunità si ritrova unita – per dirla alla Obama si diventa un unico corpo sociale – e sancisce e consacra figure che hanno contribuito ad aprire varchi nelle nebbie della ragione e della conoscenza.
Figure nelle quali ci si dovrebbe riconoscere, anche nella scelta dei paradigmi educativi da proporre alle nuove generazioni.
Per questo non ci è sembrata inopportuna la intitolazione a Jan Palach di una strada nella nostra città. Ma questo anche e soprattutto perché – e forse contrariamente a quanto era nelle intenzioni di chi ha voluto presentare questa proposta – Palach rappresenta quella Primavera di Praga che poi la invasione sovietica represse nel sangue.
Ma occorre anche ricordare che quel tentativo di riforma fu avviato e diretto da comunisti, quelli che cercavano una “terza strada”e che per questo furono lasciati soli dai governi occidentali, quindi sia dai partiti di destra che da quelli di sinistra; e che loro furono poi le vittime principali della repressione. Per questo si preferisce parlare del suo funerale piuttosto che della sua vita, come sottolinea Luciana Castellina.
Importante quindi questo riconoscimento, anche se usato strumentalmente.
Ma oltre questo, scorrendo tra i nomi delle personalità indicate dalla giunta comunale per una strada o una piazza, ve ne sono alcuni che meriterebbero una riflessione ulteriore.
Fra gli altri quello di Fabrizio Quattrocchi. Morto in Iraq e innalzato al ruolo di eroe per quella frase (“ora vi faccio vedere come muore un italiano”).
Quattrocchi è stato per questo anche insignito di una medaglia d’oro dal Presidente Ciampi, sull’onda di una emotività popolare che è stata forte a tal punto da far dimenticare i motivi per i quali era in Iraq. Motivi, volutamente, mai chiariti del tutto.
Ma non per giudicare la sua morte mi soffermo ora sul suo nome. Questa ci ha colpiti tutti perché la violenza non può che indignare e chi la subisce merita la nostra completa ed umana solidarietà.
Tuttavia non dovremmo tralasciare il messaggio che la loro vita ci trasmette e che la loro scomparsa ha reso evidente e concreto. Qual’é questo messaggio?
Ed è immanente – in questa scelta e in altre - la volontà dell’ amministrazione comunale di avallare una visione culturale della vita, forte e ardita, in cui la violenza ha una legittimazione intrinseca, che viene sublimata ed onorata dalla morte e da questa, praticamente, riscattata.
Ma fino a che punto questo può essere un messaggio edificante ed educativo?
Non dovremmo mai dimenticare – come comunità - le prerogative educative non formali che ci sono attribuite. Le nostre scelte orientano gli ideali dei giovani e dobbiamo esserne pienamente consapevoli.
Umberto Cinalli
(Verdi per
Commenti |
||
nessun commento... |