ROMA (UNONOTIZIE.IT) L’invenzione del cinema, avvenuta alla fine del XIX secolo, e la sua evoluzione verso una forma d’arte sempre più autonoma ed elaborata, contribuirono a promuovere lo sviluppo di importanti teorie della percezione, in particolare della percezione visiva. Il cinema, in effetti, si basa sulla complementarietà tra due dimensioni: il suo scopo è rappresentare attraverso immagini un mondo costituito da ciò che la vita stessa ci offre, mentre la sua destinazione è indirizzare tutto questo materiale verso chi lo fruisce.Il film infatti si realizza pienamente soltanto nel rapporto con uno spettatore che lo guarda, lo ascolta, lo legge, lo interpreta, ne decodifica i messaggi, diventando così un vero e proprio interlocutore. In questo senso si può affermare che la storia del cinema va di pari passo con una storia della ricezione ed entrambe sono parte della storia della cultura e della società.

 La nostra partecipazione al film è molto più intensa di quanto non accada in altri tipi di fruizione artistica come quella teatrale o letteraria perchè ogni mondo rappresentato, dal più realistico al più fantastico, genera in noi una fortissima pulsione visiva pur non avendone accesso. Il funzionamento del dispositivo cinematografico, cioè l’insieme della sala buia, proiettore, pellicola, schermo, è assicurato solo dalla presenza di qualcuno che reagendo di fronte alle immagini è portato a vivere con e dentro il film. La situazione cinematografica, per sua stessa natura, comporta l’attivazione del processo psichico dell’identificazione che designa un’immedesimazione, un’appropriazione degli stati d’animo altrui vivendoli come se fossero nostri. In virtù di una tale azione suggestiva il pubblico è portato a condividere con grande partecipazione ogni sentimento, impulso e stato emotivo dei personaggi della finzione come, del resto, avviene frequentemente nella realtà della vita in tutte le relazioni con il prossimo.

 Quindi, sulla base di un certo numero di atteggiamenti e meccanismi psichici una serie di analogie hanno permesso alla teoria del cinema di accostare lo spettatore al soggetto psicoanalitico. Il rapporto tra cinema e psicoanalisi è dunque essenziale per studiare la problematicità della visione, per interpretare quella figura di spettatore e di spettatrice le cui emozioni affondano le loro radici nel tempo dell’infanzia, in un’ esperienza passata e nascosta. Vedremo infatti come il dispositivo cinematografico faccia rivivere scenari ed esperienze infantili, per esempio il complesso di Edipo, attraverso i quali il bambino durante i primi mesi di esistenza forma il proprio io e la propria personalità.Per capire a fondo un concetto così complesso come quello dell’identificazione cinematografica e le diverse forme in cui può articolarsi, è perciò indispensabile partire dalla descrizione che ne fa la psicoanalisi in cui tale meccanismo occupa un ruolo centrale. Inizieremo dall’elaborazione che ne fa Sigmund Freud il quale attribuisce all’identificazione un’importanza fondamentale, non tanto come meccanismo psicologico tra gli altri, ma come operazione di costituzione del soggetto umano. (Prima parte)

ELISA IGNAZZI

 

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