Tempo fa, la notizia che il 3° scalo aeroportuale del Lazio sarà a Viterbo, ha suscitato un tripudio nelle “poltrone” del Viterbese, lasciando però assai perplessa una grande fetta della società che credeva (e crede tuttora) nella Tuscia come in un territorio ove davvero poter sperimentare il concetto (tanto sbandierato a destra e manca) di “sviluppo sostenibile”.
Molti infatti sono i dubbi – o meglio, le certezze - circa l’impatto ambientale e paesaggistico che avrà la gigantesca opera: ad esempio, contando la vicinanza dell’area dell’aeroporto con il Bulicame e con tutta la zona termale, con lo splendido sito archeologico di Castel d’Asso, e, non ultima, con la stessa magnifica Tuscania (oggi uno dei centri più visitati del Viterbese), la quale vedrà svanire i propri secolari silenzi maremmani dal sibilare continuo ed incombente degli aeroplani. Un aspetto peraltro, quest’ultimo, da non sottovalutare (ed invece sinora sottovalutato), poiché l’inquinamento acustico e visivo determinato dal “vai e vieni” degli aerei peserà su un’area assai più vasta di quella dell’aeroporto: anzi, pensando alle rotte che i velivoli effettueranno (verso Siena, verso Perugia e verso Roma) praticamente tutto il territorio della Tuscia sarà invaso dal traffico aereo con un risultato disastroso per la quiete, prima proverbiale, delle terre degli antichi etruschi ma anche per la qualità stessa dell’aria. Alcune zone come la bassa Tuscia, Pensiamo ai monti della Tolfa e della Valle del Biedano - che già risentono degli scali civili e militari del litorale - vedranno i propri cieli solcati in continuazione dagli aerei, in stridente contraddizione con la loro qualità (che andrebbe invece assolutamente salvaguardata e valorizzata turisticamente) di aree naturali ancora selvagge.
Del resto, sappiamo tutti che il 3° scalo a Viterbo servirà per portare ulteriori turisti in Toscana, in Umbria e a Roma, favorendo quindi non il territorio della Tuscia ma aree che oggi già possiedono enormi flussi turistici, che vedranno così ulteriormente incrementati. Insomma una vera e propria nuova (l’ennesima) servitù. Dopo le centrali di Civitavecchia e di Montalto con i grandi elettrodotti che squarciano la Maremma viterbese, dopo i folli progetti di impianti eolici e di centrali a biomasse nelle zone più intatte ed pregiate della Provincia, veniamo dunque anche a questa faraonica idiozia dell’aeroporto, idea sostenuta chiaramente da chi non ha alcun amore per questa terra ma solo ed esclusivamente interessi (direttamente o indirettamente) personali, oppure da chi sia semplicemente legato ad un’ideologia di sviluppo vecchia, sorpassata e anche un po’ demenziale, basata sulla trasformazione totale e completa del territorio, con la sua conseguente perdita di identità e di specificità: un processo che applicato alla Tuscia alla lunga la porterebbe a divenire una sorta di gigantesco dormitorio sia della vicina metropoli romana sia del grande distretto industriale che verrebbe inevitabilmente a realizzarsi a Viterbo e nelle zone limitrofe, a causa delle nuove imponenti infrastrutture.
Un progetto, in definitiva, che suona come l’ennesima e ultradecennale conferma dell’incapacità della classe politica della Tuscia di saper valorizzare adeguatamente questo territorio e di dargli un indirizzo ben preciso ed il più possibile condiviso. L’aeroporto apporterebbe infatti gravissimi danni all’immagine turistica del territorio tutto, già d’altro canto interessato, negli ultimi anni, da inquietanti fenomeni di degrado come l’incontrollato proliferare di piccoli insediamenti produttivi sparsi in aree ambientali di pregio, con grande erosione delle risorse paesaggistiche della Provincia.
Una volta realizzato l’aeroporto, d’altronde, ci si troverebbe di fronte il problema dei trasporti che come sappiamo sono piuttosto scadenti tra Viterbo e Roma ma anche tra Viterbo e Siena e Perugia: così si darebbe il via ad altri progetti altrettanto faraonici di autostrade e superstrade finora falliti non solo per mancanza di fondi ma anche per l’evidente vocazione agro-pastorale e turistica della Tuscia. Del resto, chi di buon senso oserebbe dire che la Cassia fra Montefiascone e Siena, ad esempio, abbisognerebbe di un allargamento, visto che il territorio interessato da quella tratta – essendo oggi a vocazione agricola e turistica e privo di grossi agglomerati urbani – non ha alcun problema di traffico per sua stessa natura? O, oggi come oggi, chi potrebbe dire che l’Aurelia Bis non basta per i collegamenti fra Viterbo e Civitavecchia, se – per la stessa natura agreste del territorio splendidamente “deserto” che quella strada attraversa - ci passano più trattori che automobili? Ed inoltre, come si potrebbe conciliare la tutela di beni archeologici e paesaggistici sparsi ovunque nella Tuscia con la creazione di nuove infrastrutture in funzione dell’aeroporto? Di ciò ancora non si parla, ma chi è lungimirante, e vede purtroppo nella storia il ripetersi sempre degli stessi fatti, non può non vedere chiaro che la creazione dell’aeroporto costerà una trasformazione totale dell’assetto territoriale della Provincia.
Di questo passo addio alla Tuscia, ossia a ciò che noi oggi conosciamo come “Tuscia”, vale a dire un’area agricola e naturale di eccezionale pregio, caratterizzata da una straordinaria armonia fra beni archeologici e paesaggistici, e che proprio su queste risorse, in quanto oggi divenute assai rare in molte parti d’Italia, dovrebbe poggiare il proprio futuro, tramite seri progetti per la conservazione del territorio e del paesaggio storico (ad esempio tramite l’istituzione di un vasto parco nazionale) e nuove (e veramente “europee”) strategie di promozione e valorizzazione delle proprie bellezze (in tal senso va segnalato il progetto presentato dagli uffici provinciali, dell’inserimento dell’Alta Tuscia fra i siti Unesco e nella rete dei geoparchi d’Europa).
Ed invece, gli amministratori locali, servi di pochi avidi speculatori, stanno svendendo la Tuscia ad un concetto di progresso cieco, demente e cancrenoso, e che quindi “progresso” niente affatto è, ma pura barbarie e violenza contro un bene che ci è stato generosamente tramandato dai nostri saggi antenati e che purtroppo una volta distrutto non sarà più riproducibile: il territorio.
Luca Bellincioni
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