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- Indecenza moderata, in tempi in cui il popolo deve fare il pastore invece che il gregge. Cosa ci si deve aspettare di più dai costumi ipocriti dei rappresentanti che arrivano ai vertici? Per Mario Monti ora spunta il caso firme per far correre il suo candidato alla Regione
Lombardia Albertini.
Pur criticando senza pause Silvio Berlusconi, Mario Monti continua a scimmiottare il programma, che poi è tutto un exploit di peripezie in cui non ci si capisce niente. Uno spettacolo dove conta non cadere in errore e scimmiottare l'eccellenza vale come e di più di mostrare un primato di decenza nei contenuti.
Ieri in maniera spudorata. Adesso anche il
premier ammette che «Le tasse sono troppe». Peccato che sia stato lui ad
azionare soltanto la leva del fisco per tenere i conti a puntino. E
infatti si giustifica subito: «Si è dovuto riassestare in pochi mesi un
debito pubblico tale che all'estero non volevano titoli italiani». Non
una parola sulla sua debolezza nell'affrontare il capitolo dei tagli
alla spesa.
Tornando al fisco, Mario Monti è simile al Pdl anche sull'Irap,
tassa che grava sulle aziende italiane. Presentando il suo «industrial
compact», il premier promette, nei primi 100 giorni di governo «una
drastica riduzione dell'Irap per le piccole e medie imprese
manifatturiere nei primi 100 giorni di governo, con priorità per quelle
del Sud».
Ma guarda un po'. L'eliminazione progressiva dell'Irap è proprio uno dei cavalli di battaglia di Silvio Berlusconi. Cavaliere che il Professore disprezza tanto. Da sottolineare, poi, che la «montiana» riduzione dell'Irap in realtà c'è già, visto che proprio il Pdl ne aveva preteso l'inserimento nella legge di stabilità alla vigilia di Natale.
Quindi,
a Porta a Porta, conferma: «Tanti elettori moderati dovrebbero
votare per noi - dice il Professore -. Ognuno sarebbe contento di
ricevere l'Imu, ma con questa svendita dello Stato alla vigilia delle
elezioni poi bisognerà andare a prendere un altro Professore».
Lungi dal fare autocritica per aver pigiato solo sul pedale del rigore dimenticando quelli dell'equità e dello sviluppo, Monti ora si prende a cuore la «crescita». Ma ancora una volta si autoassolve: «È irragionevole chi dà l'impressione di essere sorpreso che il 2012, anno in cui l'assoluta priorità era quella di mettere a posto i conti, non sia stato un anno di espansione per l'economia reale».
Cerca l'appoggio della piccola e media impresa, il Professore; e dopo aver contribuito ad affossarla ora la difende: «Occorre dare spazio alla vitalità della grande tradizione manifatturiera italiana. La crisi nasce dalla finanza ma si è trasferita alle strutture produttive».
Poi, il premier cerca di rimediare alla gaffe con la Merkel, tirata in ballo per colpire Silvio Berlusconi. Un autogol visto che la stessa cancelliera ha smentito ufficialmente qualsiasi ingerenza nelle vicende elettorali italiane. «Ho solo voluto smentire l'affermazione di Silvio Berlusconi su un ipotetico intervento della Merkel a favore di un accordo tra me e Bersani», si giustifica.
Torna a bastonare la sinistra: «la cultura presente in
alcune componenti della coalizione mi fa temere che l'ideologia
prevarrebbe sulla concretezza dei provvedimenti»; e battibecca con
Bersani che risponde: «Ogni giorno ci trova un difettuccio».
Ma non
c'è solo il nodo alleanze a preoccupare il Professore. Ieri, da Cremona,
la grana di possibili strane firme a sostegno di Albertini in Lombardia.
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