Il 7 ottobre 2008, mentre i mercati finanziari globali sprofondavano nel panico dopo il collasso della Lehman Brothers, una piccola isola europea chiudeva un capitolo della propria storia. Quel giorno il governo dell’Islanda decretava la nazionalizzazione delle principali istituzioni finanziarie del paese, i cui attivi, dopo un periodo di deregolamentazione e rapida espansione dall’inizio del nuovo millennio, avevano raggiunto una dimensione equivalente a 10 volte il totale dell’economia nazionale.

Le misure adottate a partire da quel momento nascevano dalla comprensione che, come disse David Oddson (2), lo Stato dell’Islanda non aveva alcuna intenzione, né obbligo, di pagare i debiti di banche che erano state “un poco negligenti”(3).

Una delle tre entità coinvolte da queste misure era una delle banche più antiche e tradizionali del paese: la Landsbanki. La revisione della storia e degli avvenimenti occorsi intorno a questa banca offre l’opportunità di capire meglio la portata e le conseguenze pratiche delle misure adottate dal governo islandese per affrontare la peggior crisi finanziaria della sua storia.

La Landsbanki, il cui nome significa Banca Nazionale, fu fondata nel 1886 e dall’inizio delle sue operazioni si convertì in una delle basi dello sviluppo economico del paese. Questo ruolo prominente si rispecchia nel fatto che, in mancanza di una Banca centrale, la Landsbanki esercitò di fatto questa funzione in Islanda dal 1927 al 1961 (4). Durante la sua storia e fino agli inizi degli anni ‘90 la banca si caratterizzò per la gestione stabile e conservatrice dei conti del bilancio. Malgrado ciò, a partire dal 1994 la trasformazione dell’ambiente regolatorio del settore finanziario in Islanda cambiò in maniera fondamentale la struttura e le operazioni della banca. Il cambio più importante che si produsse fu la progressiva privatizzazione della banca, che iniziò nel 1998, momento in cui questa era un’entità controllata dallo Stato islandese, e si concluse nel 2003 con la vendita delle ultime partecipazioni pubbliche nell’entità finanziaria.

La necessità di generare rendimenti per i nuovi investitori privati portò a un accentuato incremento dell’aggressività nelle operazioni della banca. Facilitata dalla deregulation finanziaria e dall’eliminazione dei controlli del capitale, Landsbanki iniziò l’adozione di una strategia basata nella captazione delle risorse e dei depositi nei mercati internazionali di crediti a breve scadenza destinati a finanziare l’espansione del suo portafoglio crediti in Islanda.
Soltanto nel periodo compreso tra il 2003 e il 2005, questa strategia gli permise triplicare la dimensione del suo bilancio e raggiungere una quota di mercato del 40% nel settore del credito corporativo (5). Tuttavia, dato il ritmo di crescita ancora più veloce di Kaupthing, l’altro gigante finanziario dell’Islanda, e la costante minaccia di una fusione forzata implicarono che Landsbanki doveva aumentare ancora di più i suoi livelli di capitale di prestito e rischio per mantenere la competitività.

In questo modo, a partire dal 2005, Landsbanki introdusse crediti ipotecari denominati in euro con tassi d’interesse inferiori a quelli offerti dai crediti pubblici e con il finanziamento fino all’80% del valore dell’immobile (6). Nel 2006 la banca iniziò a utilizzare i Collateralized Debt Obligations (CDO), prodotti finanziari strutturati che gli permisero vendere pacchetti di crediti offerti inizialmente in Islanda a investitori internazionali. Nello stesso anno istituisce Icesave, un’ entità destinata a captare depositi di risparmiatori nel Regno Unito e in Olanda attraverso uno schema che combinava banca in internet e tassi d’interesse sensibilmente più alti ai clienti che i presenti nei mercati locali. Prese nel loro insieme, queste misure permisero in maniera simultanea di ridurre la qualificazione di rischio della banca e incrementare in maniera esponenziale la capacità di captare risorse nei mercati internazionali. Alla fine del 2007, la banca riuscì a essere in possesso di attivi per 30 miliardi di dollari, l’equivalente a tre volte la dimensione dell’economia islandese.

Fino a quel momento, la veloce espansione del settore finanziario e dell’economia islandese furono presentati come un successo a livello internazionale di pratiche innovatrici di amministrazione e gestione del rischio finanziario. Tuttavia gli squilibri macroeconomici generati in questo periodo avevano un carattere chiaramente insostenibile. Le esigenze di finanziamento annuali dell’Islanda, nella forma di deficit di conto corrente, superarono il 20% del PIL nel 2007. Nello stesso anno il debito delle famiglie raggiunse un 240% del suo ingresso disponibile, mentre il debito del settore delle imprese superò il 250% del PIL. Grazie alla messa in pratica del Carry trade, la Corona islandese (ISK) divenne una delle valute con maggiore apprezzamento a livello globale. Nel frattempo la massiccia entrata di capitali causò un incremento senza precedenti dei prezzi degli attivi nell’isola. Tra il 2000 e il 2007 l’indice di borsa crebbe del 700% mentre i prezzi delle case aumentarono del 230%. (7).

Man mano che l’instabilità conquistava i mercati internazionali nel 2008, l’Islanda divenne uno dei principali obiettivi di attacchi speculativi. L’intensità di questi portò effettivamente alla chiusura delle transazioni finanziarie internazionali alla fine di Settembre. A sua volta, la dipendenza di entità come Landsbanki e Kaupthing dal finanziamento esterno le lasciò in una situazione estremamente precaria e solamente una settimana dopo portò alla loro nazionalizzazione.

La presa di decisioni del governo sulla forma migliore di riscattare il sistema finanziario del paese avvenne in un ambiente sommamente complesso. Nel caso della Landsbanki, il governo dovette affrontare tre problemi connessi fra loro. Prima di tutto, più dell’80% dei crediti al settore privato, e una proporzione simile del suo finanziamento nei conti del bilancio della banca, erano denominati in valute diverse dal ISK (8). La mancanza di accesso al finanziamento esterno implicava un serio problema di liquidità, che metteva in dubbio la solvibilità stessa della Landsbanki. O ancora peggio, una svalutazione significativa dell’ISK avrebbe forzato una bancarotta generalizzata del settore delle imprese e delle famiglie islandese, ogni qual volta, all’essere i suoi crediti denominati in Euro o Sterline, il peso di queste valute si sarebbe elevato vertiginosamente calcolato in ISK. Quindi il governo doveva trovare un punto medio tra la necessità di svalutare la moneta, risolvere gli squilibri macroeconomici esterni, e proteggere le famiglie e le imprese da una situazione di bancarotta massiva con le conseguenti implicazioni in termine del costo di un possibile piano di salvataggio.

Un secondo problema era collegato ai meccanismi di scioglimento di un’entità bancaria in fallimento. D’accordo con la legge internazionale, una volta pagati i depositi con garanzia, i possessori di bonds e i risparmiatori hanno la stessa priorità al momento di distribuire gli attivi rimanenti del bilancio della banca. Dal punto di vista dell’Islanda, il problema radicava nel fatto che, data la quota elevata di stranieri nella struttura del finanziamento delle banche, una soluzione di questo tipo avrebbe tratto con sé due conseguenze. Prima di tutto, avrebbe fatto scomparire effettivamente i risparmi dei cittadini d’Islanda, dato che essi non sarebbero stati in condizione di competere legalmente con i grandi creditori internazionali. In secondo luogo, tali creditori avrebbero preso il controllo di entità come la Landsbank, e con essa il paese nel suo insieme. Nessuna delle due era una vera opzione per il governo islandese.

Il terzo elemento da prendere in considerazione erano i depositi dell‘Icesave del Regno Unito e d’Olanda. Nel Settembre del 2008 Icesave deteneva depositi di circa 300 mila persone e società di questi paesi per un valore totale di 12 milioni di dollari. Questi fondi rimasero effettivamente congelati all’inizio d’ottobre, e il governo islandese doveva decidere come indennizzare i risparmiatori in caso di fallimento. Tale decisione doveva tener in conto che essendo un’estensione della Landsbanki, e non un’entità legale separata operando in tali paesi, il pagamento delle garanzie ai depositi dell’Icesave era responsabilità delle autorità dell’isola. Il pagamento di una garanzia dei depositi in accordo agli standard dell’UE per un valore di 20880 euro per conto implicherebbe un carico minimo equivalente al 40 – 60 % del PIL del paese, dipendendo dall’evoluzione della tassa di cambio dell’ISK (9).

In questo panorama complicato, il governo islandese dichiarò uno stato d’emergenza e si appellò a un caso di forza maggiore per adottare una legislazione speciale che permettesse proteggere gli interessi nazionali rispetto ai creditori internazionali. I principi che soggiacevano alle misure adottate furono la protezione dei risparmiatori rispetto ai possessori di bonds, e la protezione dei residenti in pregiudizio dei non residenti. In questo modo il governo islandese assunse l’amministrazione della Landsbanki, dividendo le operazioni in due entità differenti. Una nuova entità legale fu stabilita per amministrare i depositi e i crediti dentro l’Islanda. I depositi dei risparmiatori in Islanda ricevettero una protezione del 100%, mentre i possessori di bonds si sottomisero a un procedimento speciale. Questo consisteva nella valutazione, tramite una revisione, di tutti gli attivi della banca ed in base ai risultati di questa valutazione, un’emissione di nuovi bonds per indennizzare gli antichi possessori di titoli (10). Dopo il processo di capitalizzazione iniziato dal governo islandese, con lo scopo di far fronte alle future perdite nel portafoglio crediti domestici, la nuova istituzione rimase con un capitale stimato di 6 milioni di dollari (11).

Nel frattempo la seconda entità legale rimase a carico dell’amministrazione degli attivi della Landsbanki all’estero con l’obiettivo di liquidarli progressivamente e con gli ingressi generati da queste vendite indennizzare ai possessori internazionali di bonds. Siccome i controlli di capitale stabiliti parallelamente alla ristrutturazione bancaria, e dato che la maggior parte degli attivi si trovavano in Islanda, questo schema implicava l’imposizione di perdite vicine al 100% per tutti i creditori internazionali. Così questa seconda entità rimase con passivi per un totale superiore a 25 miliardi di dollari e un capitale negativo di quasi 11 miliardi di dollari (12).

Considerate nel loro insieme, le misure adottate portarono al controllo da parte dello Stato del 95% del settore finanziario. Nel caso della Landsbanki, lo Stato assunse l’81.33 delle azioni della nuova entità, lasciando il resto in mano ad una commissione di risoluzione. Questa commissione aveva il compito di gestire il processo di riduzione dei conti di bilancio, concentrandosi particolarmente sulla necessità di massimizzare il recupero di effettivo destinato al pagamento dei possessori di bonds. Questa impostazione fu seguita nel resto delle istituzioni intervenute nell’isola. Le commissioni di risoluzione rimasero responsabili di un debito del valore di 86 miliardi di dollari lasciato dal crollo bancario islandese (13).

Com’era da aspettarsi, le misure adottate in Islanda causarono una forte reazione da parte dei creditori internazionali, in particolare dei governi del Regno Unito e dell’Olanda. Nella loro ansia di controllare un possibile panico finanziario, i governi di questi paesi si incaricarono di pagare ai risparmiatori con conti dell’Icesave le garanzie stabilite in ogni paese. Partendo dall’interpretazione che le misure adottate per proteggere i risparmiatori con conti dentro del sistema bancario d’Islanda erano le stesse che si dovevano applicare ai risparmiatori all’estero con conti Icesave, il Regno Unito e l’Olanda esigevano dall’Islanda il rimborso delle risorse che questi governi avevano pagato inizialmente ai risparmiatori colpiti dal collasso della Landsbanki.
Così si pretese da un paese con un PIL di 12 miliardi di dollari, il rimborso di 3.85 miliardi e 1.9 miliardi di dollari da parte del Regno Unito e dell’Olanda rispettivamente (14). Detto in altre parole si pretendeva dall’Islanda che pagasse in maniera pubblica e collettiva l’equivalente della metà del reddito generato annualmente dai 300.000 abitanti del paese a causa del collasso di un’entità privata diretta da un gruppo di tre individui. Visto da questa prospettiva, un’esigenza illegittima e chiaramente esagerata.

Adducendo l’incapacità del paese di poter far fronte ad un indennizzo così elevato, in un primo momento il governo islandese rifiutò nettamente di accettare qualsiasi tipo di responsabilità finanziaria nel caso dell’Icesave. La prima misura di pressione per forzare un cambio della posizione dell’Islanda fu adottata dal Regno Unito l’8 ottobre del 2008. Quel giorno si incluse la Landsbanki e il governo d’Islanda in un elenco ristretto di organizzazioni terroriste, tra le quali apparivano anche Al Qaeda e Corea del Nord. L’utilizzazione di legislazione anti terrorista contro l’Islanda permetteva l’imposizione di un rigido blocco finanziario e il congelamento di tutte le risorse finanziarie dell’isola che si trovassero all’estero. Però l’isola non cedette. Dovette sopportare la pressione congiunta da parte dell’FMI, del Regno Unito e dell’Olanda, così come la minaccia di ritenzione di una linea di credito d’emergenza, fino a che, alla fine di Ottobre del 2008, l’Islanda accettò di farsi carico del pagamento di un minimo stabilito come garanzia ai depositi fissati dalla comunità Europea.

Malgrado questo accordo iniziale, il Regno Unito e l’Olanda continuarono a esercitare pressioni sull’Islanda per incrementare l’ammontare dell’indennizzo. Dal punto di vista legale il loro argomento si centrava nel fatto che il riscatto dei risparmiatori in Islanda violava le leggi di non discriminazione basate sulla nazionalità stabilite dalla Comunità Europea. Per evitare questa violazione l’Islanda era obbligata a offrire lo stesso trattamento a tutti i risparmiatori con depositi in istituzioni bancarie del paese indipendentemente dalla loro nazionalità. In sua difesa l’Islanda sostenne che, d’accordo con la legislazione che regola l’integrazione finanziaria nel continente, il paese non stava nell’obbligo di adeguarsi alle garanzie minime stabilite nel Regno Unito e in Olanda, rispettivamente di 60.000 e 100.000 euro per deposito. Nel migliore dei casi il paese doveva solamente adeguarsi alle garanzie minime per deposito del sistema bancario europeo per un valore di 20.880 euro.

I negoziati fra i tre paesi per raggiungere un accordo sugli importi da rimborsare dall’Islanda si prolungarono nel corso del 2009. Alla fine di quell’anno si accordò il pagamento di 3.8 miliardi di Euro da parte dell’Islanda in un periodo di 14 anni (15). Pressato dall’opinione pubblica, il presidente dell’Islanda, Olafur Grimsson, decise di sottoporre il risultato delle negoziazioni a un referendum popolare. L’accordo raggiunto fu respinto con fermezza dal popolo islandese, con il 93% dei voti contrari al pagamento al Regno Unito e all’Olanda (16). Dopo il rifiuto iniziale, nuove negoziazioni avvennero e terminarono a Febbraio 2011, con un accordo nel quale l’Islanda si impegnava al pagamento in un periodo di 30 anni. Come nel primo caso, il Presidente Grimsson indisse un referendum ad Aprile nel quale la popolazione respinse di nuovo il pagamento, con un voto del 59% contro questo (17). L’esaurimento di altri mezzi disponibili per forzare l’Islanda a pagare contro la volontà del popolo di questo paese condusse a presentare una denuncia presso l’European Free Trade Association (EFTA) da parte del Regno Unito e dell’Olanda. Questo tribunale ha l’incarico di decidere se esiste l’obbligo da parte dell’Islanda, e in caso ci sia l’importo, di indennizzare i risparmiatori colpiti dal collasso della Landsbanki e Icesave. Si attende il parere del tribunale per Aprile 2012 (18).

Malgrado le discussioni sull’Icesave fossero un elemento ricorrente delle notizie a livello internazionale, durante questo periodo Landsbanki dovette far fronte a seri problemi derivanti dal processo di ristrutturazione. Il forte calo dell’attività economica, combinato al crollo del valore dell’ISK rispetto all’Euro e ad altre valute, implicò che oltre il 60% dei crediti rilasciati si trovassero in mora. Tra il 2009 e il 2010, le banche in Islanda si trovarono costrette a cancellare debiti alle famiglie e alle imprese insolventi per un valore di 4.2 miliardi di dollari (19). Questa cifra crebbe dopo una sentenza della Corte Suprema d’Islanda nel Giugno del 2010 nella quale si dichiarava che i prestiti realizzati in ISK, però indicizzati in altre valute come l’Euro e lo Yen, erano illegali e quindi i debitori non avevano l’obbligo di pagare i crediti ricevuti sotto questo tipo di condizioni. I crediti interessati da questa misura raggiungono la cifra di 27 miliardi di dollari. In quanto garante delle istituzioni finanziarie, il governo d’Islanda rischia di perdere fino a 781 milioni di dollari in costi di ricapitalizzazione delle banche coinvolte dai crediti da annullare per la sentenza giudiziaria (20).

La prospettiva di ulteriori perdite per il governo attraverso questa via resta aperta, dopo l’annuncio della Primo Ministro Johanna Sigurdardottir, a Ottobre 2010, se passa una legge che consente ai mutuatari di annullare i propri debiti ed eliminare i fallimenti personali tra 4 anni. La proposta, realizzata inizialmente dall’Interest Group of de Homes, cerca d’impedire che le famiglie perdano le loro case a seguito di debiti e sperava d’ottenere la riduzione dei mutui ipotecari del 39% delle famiglie del paese per un valore di 1.8 miliardi di dollari (21). Tuttavia la proposta è stata bloccata dall’opposizione dell’FMI e dei Fondi Pensione dell’Islanda. Nel caso dell’FMI, l’opposizione si basa sul timore dell’impatto negativo che avrebbe sulle finanze pubbliche la ricapitalizzazione richiesta dalle banche dopo aver assunto le perdite derivanti dalla riduzione dei debiti. Dal canto loro i Fondi pensione, in qualità di possessori di buoni delle banche non solventi, segnalarono che le nuove deroghe avrebbero colpito eccessivamente la capacità delle commissioni di risoluzione di recuperare i crediti in mano dei Fondi.

Passati tre anni dal crollo finanziario del paese, l’Islanda si muove lentamente verso la ripresa. La svalutazione dell’ISK, malgrado il suo effetto devastante sui conti dei bilanci delle banche, ha facilitato la rapida ripresa delle esportazioni del paese e la generazione di un avanzo estero. Mentre i paesi dell’Euro zona continuano sommersi in piani di austerità incapaci di ridurre i deficit pubblici, dal 2012 l’Islanda registra un avanzo fiscale. In termini di disoccupazione, l’isola presenta un tasso dell’8.1%, molto inferiore alla media dei paesi della OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, OCSE) del 13.1% (22). Finalmente, e in maniera apparentemente paradossale per un paese che decise di opporsi ai mercati finanziari internazionali per proteggere i suoi cittadini, le quotazioni dei CDS sul debito sono inferiori a quelli di paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo che invece hanno seguito alla lettera i diktat della Commissione Europea e dell’FMI.

Sebbene da una prospettiva storica e legale, gli avvenimenti in Islanda e Landsbanki abbiano un carattere estremamente recente, è possibile azzardarsi a trarre alcune lezioni basiche sui salvataggi bancari:

● In primo luogo, anche per una piccola isola nel Nord Atlantico è possibile adottare misure di carattere sovrano, in termini di annullamento di debiti e ristrutturazione del sistema finanziario, che proteggano la popolazione locale in pregiudizio degli interessi dei mercati finanziari. Non solo è possibile adottare queste misure, ma inoltre si può resistere alle pressioni e al conflitto con entità multilaterali internazionali che derivano da questa adozione.

● In secondo luogo, è fattibile rifiutare il principio stabilito a livello internazionale, nella recente crisi, che segnala che il cammino per il recupero passa per la socializzazione delle perdite generate dal sistema finanziario senza cambi nella gestione e nella struttura del sistema. Di fatto prendendo in considerazione i risultati ottenuti recentemente dall’Islanda confrontati con altri paesi della Euro zona, tale rifiuto è auspicabile.

● Terzo, è chiave contare su un grande consenso nazionale che permetta di far fronte sia alle pressioni internazionali che ai costi reali derivanti dal processo di riorganizzazione finanziaria. L’attiva partecipazione del popolo islandese attraverso referendum e costanti manifestazioni ha creato lo spazio per rifiutare i conti dell’Icesave e mantenere forti controlli di capitali malgrado le obiezioni dell’FMI.

● Per concludere, dati gli alti costi derivanti dal crollo di un sistema finanziario che è cresciuto senza controllo è preferibile implementare forti regolazioni che limitino la crescita di questo, piuttosto che aspettare la sua implosione e tentare di salvarlo. Ciò è particolarmente certo quando il settore diventa un multiplo della dimensione dell’economia. I costi possono raggiungere livelli proibitivi per l’economia nel suo complesso.

Daniel Munevar
economista, è membro del CADTM Colombia e del coordinamento del CADTM Abya-Yala Nuestra America www.cadtm.org

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSANDRA LAURENTI
.

Fonte Articolo


NOTE

[2] Primo Ministro d’Islanda tra 1991 e 2004. Direttore del Consiglio dei Governatori della Banca Centrale d’Islanda dal 2005 al 2009.
[3] WSJ, ¨Excerpts: Iceland's Oddsson¨, 17 Ottobre 2008, disponibile in: http://online.wsj.com/article/SB122418335729241577.html
[4] Jonsson A. (2009), ¨Why Iceland? How one of the world´s smaller countries became the meltdown´s biggest casualty¨, McGraw Hill - New York, Chapter 1.
[5] Op. cit. 3. Pg 65-66.
[6] Op. cit. 3. Pg 66-69.
[7] Aliber, R. (2011), ¨Monetary Turbulence and the Icelandic Economy¨, in Preludes to the Icelandic Financial Crisis , Palgrave Macmillan - New York.
[8] Buiter, W. y Sibert, A. (2011), ¨The Icelandic Banking Crisis and What to Do about it: the Lender of Last Resort Theory of Optimal Currency Areas¨, in Preludes to the Icelandic Financial Crisis , Palgrave Macmillan - New York.
[9] Op. Cit. 3. Pg 176.
[10] Poiché questo processo si è verificato in un contesto caratterizzato dalla protezione dei depositi, una massiccia svalutazione della valuta, il crollo dei prezzi delle proprietà e della borsa di valori, i possessori dei bonds speravano recuperare meno del 5% del loro valore nominale. Vedere Bloomberg, 7 Dicembre 2011, ¨Landsbanki Islands Makes $3.6 Billion Payment on Icesave Claims¨, disponibile in: http://www.bloomberg.com/news/2011-12-07/landsbanki-islands-makes-3-6-billion-payment-on-icesave-claims.html
[11] IMF (2008), “Iceland: Request for Stand-By Arrangement—Staff Report; Staff Supplement; Press Release on the Executive Board Discussion; and Statement by the Executive Director for Iceland”, IMF Country Report No. 08/362, November 2008
[12] Op. Cit. 10.
[13] Bloomberg, 15 Novembre 2010, ¨IMF Says More Time Is Needed to Gauge Iceland Debt-Relief Impact¨, disponibile in: http://www.bloomberg.com/news/2010-11-15/imf-says-more-time-needed-to-gauge-iceland-debt-relief-impact-on-finances.html
[14] Bloomberg, 11 Aprile 2011, ¨Icelanders Reject Foreign Depositor Claims, Forcing Year-Long Court Battle¨, disponibile in: http://www.bloomberg.com/news/2011-04-07/icelanders-may-reject-icesave-accord-in-april-9-referendum.html
[15] BBC, 31 Dicembre 2009, ¨ Iceland approves new Icesave deal¨ disponibile in: http://news.bbc.co.uk/2/hi/business/8435662.stm
[16] Icenews, 7 Marzo 2010, ¨Official confirmation of huge Iceland NO vote on icesave referendum¨, disponibile in: http://www.icenews.is/index.php/2010/03/07/official-confirmation-of-huge-iceland-no-vote-in-icesave-referendum/
[17] Op. Cit. 13.
[18] A Ottobre 2011 fu annunciato dalla commissione di risoluzione della Landsbanki che dopo una revisione esaustiva dei conti del bilancio della banca speravano di recuperare almeno 11 miliardi di dollari. Malgrado l’impegno pubblico del governo islandese di destinare queste risorse per indennizzare i risparmiatori di Icesave, la causa nella EFTA continua. Bloomberg, 14 Aprile 2011, ¨Iceland President Defends Pre-Crisis Tours Promoting Bank Model¨, disponibile in: http://www.bloomberg.com/news/2011-04-14/iceland-president-defends-pre-crisis-tours-promoting-bank-model.html
[19] Bloomberg, 27 maggio 2011, ¨Icelandic Banks Wrote Off $4.2 Billion in Debt in 2009, 2010¨, disponibile in: http://www.bloomberg.com/news/2011-05-27/icelandic-banks-wrote-off-4-2-billion-in-debt-in-2009-2010.html
[20] Bloomberg, 24 giugno 2010, ¨Iceland Creditor Risk Grows as Banks Face Losses on $28 Billion in Loans¨, disponibile in: http://www.bloomberg.com/news/2010-06-24/iceland-creditor-risk-grows-as-banks-face-losses-on-28-billion-in-loans.html
[21] Op. Cit. 12.
[22] Bloomberg, 2 Dicembre 2010, ¨Iceland Bankruptcy-to-Rebound Reveals Models Ireland Won't Take¨, disponibile in: http://www.bloomberg.com/news/2010-12-02/iceland-bankrupting-self-to-recovery-reveals-policy-ireland-dared-not-take.html

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