Per l’ennesima volta l’autostrada Livorno-Civitavecchia è ai blocchi di
partenza. I protagonisti giurano che questa è la volta buona. Le annose
polemiche sul tracciato sembrano pronte a esaurirsi. E attorno a un
progetto da due miliardi di euro si è saldata un’alleanza trasversale
degli affari. I Benetton, con Autostrade per l’Italia, hanno dato le
carte. Sono entrate le principali cooperative “rosse” di costruzione
(Cmb, Cmc, Ccc e altre), Francesco Gaetano Caltagirone
con la sua Vianini, e il Monte dei Paschi di Siena, banca “rossa” per un
verso, ma che ha come vicepresidente il suddetto Caltagirone. A far da
regista c’è uno dei massimi esperti di quel mondo dove il cemento e la
politica si intrecciano. Si chiama Antonio Bargone.
Avvocato di Brindisi, è stato negli anni ’90 il plenipotenziario di
Massimo D’Alema nello scacchiere strategico del Salento. Nel 1996, primo
governo Prodi, fu piazzato come sottosegretario ai Lavori pubblici, con
il compito di marcare strettamente l’effervescenza del titolare del
ministero, l’allora neofita Antonio Di Pietro. Nel 2001 Bargone ha abbandonato la politica attiva e si è dedicato agli affari con un certo profitto.
Oggi è un personaggio quasi mitologico, corpo di manager e testa di
Stato. Non solo infatti è da alcuni anni presidente della Sat, la
concessionaria per l’autostrada tirrenica, ma è anche commissario
straordinario, nominato dal governo, per la realizzazione dell’opera.
Alcuni parlamentari (Ermete Realacci del Pd, Elio Lannutti e Fabio
Evangelisti dell’Idv) hanno fatto notare che ci sarebbe un certo
conflitto d’interessi tra il presidente della società realizzatrice e il
commissario del governo per l’opera. Ma Bargone non ha fatto una piega.
Già due anni fa, al momento della nomina, fu disarmante:
“Concessionaria e commissario non hanno interessi in conflitto, ma
convergenti, cioè realizzare l’opera”. Adesso, di fronte alle nuove
polemiche, precisa il concetto: “Il decreto di nomina parla chiaro: io
non ho alcuna funzione di controllo sulla concessionaria, ma solo quello
di accelerare le procedure e di rimuovere gli ostacoli di ordine
burocratico per garantire il rispetto dei tempi”. Questa logica ferrea
gli consente di aggiungere allo stipendio di presidente della Sat quello
non trascurabile di commissario: 214 mila euro l’anno che lo Stato paga
a Bargone per fare in modo che lo Stato non intralci troppo gli affari
della società di cui è presidente.
Non è l’unico aspetto curioso della futura autostrada da 206 chilometri.
Tutta da capire e raccontare sarà la storia del cosiddetto
“project-finance” con cui l’opera si pagherà senza esborso alcuno da
parte dello Stato. Funziona così: siccome lo Stato non ha più un soldo,
le nuove infrastrutture vengono costruite da privati che se le ripagano
con i proventi del traffico. Vent’anni fa la formula fu inaugurata per
l’alta velocità ferroviaria. Furono aperti i faraonici cantieri
dichiarando che lo Stato non avrebbe speso una lira, perché era tutto a
carico dei privati. Era ovviamente un imbroglio: la linea veloce
Napoli-Milano-Torino è costata ai contribuenti almeno 60 miliardi di
euro, mentre i mitici privati non ci hanno messo un soldo, ma se ne sono
presi tanti. Adesso la speranza di farsi dare fondi pubblici è tenue. E
sull’autostrada tirrenica vedremo il project finance alla prova.
Qualche giorno fa il Financial Times ha pubblicato uno studio secondo
cui in Gran Bretagna il sistema del finanziamento privato ha comportato
un costo imprevisto per i cittadini di circa 30 miliardi di euro su 60
miliardi di opere realizzate. Autostrade per l’Italia aspetta
l’approvazione delle autorità per la cessione delle quote della
concessionaria a coop, Caltagirone e Montepaschi. I due soggetti
costruttori hanno preso un 25 per cento ciascuno, Autostrade si è tenuta
un 25 per cento, il Monte dei Paschi ha comprato il 15 per cento. Il
valore della società è stato stimato in circa 100 milioni, quindi il 25
per cento è costato 25 milioni. Per le società di costruzione il
business è presto detto: con le norme sulle opere cosiddette “in house”
la concessionaria può evitare di mettere in gara i lotti dell’autostrada
e farli fare a società collegate, anche sue azioniste; teoricamente
fino al 60 per cento del totale, ma il modo di aggirare questo tetto si
trova sempre.
Le coop e la Vianini potranno così spartirsi un portafoglio di lavori
tra un miliardo e un miliardo e mezzo di euro, secondo le stime. Il
Monte dei Paschi si è messo in pole position per gestire il flusso di
finanziamenti dell’operazione, che gli garantirà commissioni per diversi
milioni. L’opera sarà finanziata per un 30 per cento dalla
concessionaria (cioè dai suoi azionisti) e per il 70 per cento dalle
banche. Ma non è escluso che le banche finanzino anche l’apporto di
capitale delle società azioniste. Per vedere se le cose funzioneranno
bisognerà aspettare una ventina d’anni. Se per caso la nuova autostrada
non avesse abbastanza traffico di ripagare i debiti fatti, il cerino
acceso rimarrà alle banche finanziatrici, esattamente come una volta
rimaneva in mano allo Stato. Ma qui c’è l’analogia con la storia della
Tav: tra vent’anni nessuno degli artefici dell’operazione sarà più lì a
risponderne, così come oggi non sappiamo a chi chiedere conto della
voragine finanziaria dell’Alta velocità.
Fonte: Il Fatto Quotidiano