ORRORI ERRORI IN RADIO E TV. congiuntivi e imperativi errati, errori di pronuncia, storpiature. Povera lingua italiana.
Ultime notizie Roma - Ti do una sbérla….
Oggi siamo abituati a sentirne di tutti i colori, specialmente alla radio e alla televisione, dove notoriamente la lingua italiana dovrebbe essere rispettata.
Invece no, in virtù di quel luogo comune che afferma: “l’ha detto la tv”, oggi siamo giustificati non solo a parlare male ma ancor più a scrivere peggio.
I famosi congiuntivi di Fantozziana memoria, i “portatori sani di congiuntivi”, come ad esempio: “se io vorrei” al posto di “se io volessi”; oppure gli imperativi “salghi Fantozzi”, o “mi dichi” fanno parte sì di una lingua volutamente storpiata e coniata dal bravo comico che impersona Fantozzi; ma queste ‘forzature’ linguistiche, fanno capire come nella vita pratica di ogni giorno il nostro bell’italiano venga storpiato in ogni maniera e in ogni occasione.

Tralasciamo queste frasi paradossali, che servono solo a mettere a fuoco un problema reale nella nostra lingua, e che rappresenta la punta dell’iceberg del problema, e occupiamoci ad esempio degli accenti. Non voglio puntare il dito contro questo o quello, certo un presentatore televisivo, dovrebbe anche saper parlar bene l’italiano. Gli accenti rappresentano il nodo della questione più grave. Gli italiani del nord (ma anche quelli del sud) difficilmente pronunciano una parola con l’accento giusto. Ad esempio, nel titolo ho riportato una frase: “ti do una sbérla” con la “e” stretta, invece la parola corretta sarebbe “sbèrla” con la “e” grave. Lo stesso vale per “merlo”.

La pronuncia corretta è mèrlo (e, acc. grave) e non mérlo con la “e” stretta. Prendiamo poi una parola che pronunciata in un modo ha un significato, mentre pronunciata in altro modo ha un altro significato; La parola è “pesca”.
Se io la pronuncio con la “e” acuta pésca, péscare la parola si riferisce all’atto in cui il pescatore prende i pesci dall’acqua. Mentre pèsca (“e” grave) è il frutto di un albero che si chiama pèsco.
Gli accenti sono di vitale importanza nella lingua italiana. Purtroppo certe volte si sente dire “baule” con l’accento sulla lettera “a”, piuttosto che sulla “u”.
La parola corretta sarebbe "baùle", anche se certi dizionari, affermano che sono giusti i due modi di dire.

 
Ma non bastano i congiuntivi errati, gli imperativi errati, gli errori di pronuncia degli accenti; esistono anche storpiature evidenti nella lingua italiana.
Prendiamo ad esempio magazzeno, al posto di magazzino, fiorista al posto di fioraio, pittore al posto di imbianchino e chi più ce n’ha ce ne metta.
Un fatto è parlare un dialetto, ed è ovvio che un dialetto è una lingua a sé, non possiamo pretendere che un dialetto sia la lingua italiana. Questo vale anche per il dialetto dei Toscani.
Qui, oltre le “storpiature” c’è anche la famosa “gorgia” toscana, quella che ci fa pronunciare ‘asa al posto di “casa”, oppure ‘oda al posto di “coda”.
Siamo d’accordo nessuno è perfetto, però, tutti  concordano che la vera lingua italiana sia quella parlata dai Fiorentini e dai Senesi (quando non parlano il dialetto).

Nel campionario davvero desolante delle aberrazioni della lingua italiana ci sono anche le famose “doppie consonanti”, quando dovrebbero essere scempie e "scempie" quando dovrebbero essere doppie. I Toscani si distinguonoin questo: ‘tèra’, ‘guèra', ‘bùro’, ma, semplicemente, perché il dialetto toscano deriva dalla lingua etrusca, nella quale mancavano le doppie consonanti.
Lo stesso vale per la “gorgia”, anche questo è un lacerto, una eredità della lingua etrusca parlata ancora in parte  dai toscani.
Alla radio ho sentito l’altro giorno dire: “dici Maria” e chi parlava era una persona colta del nord Italia. Per cui io, con timore quasi riverenziale, ho pensato che il relatore formulasse la domanda con il verbo al presente indicativo, ma mi sembrava cosa strana. Poi sono arrivato alla conclusione: la dottissima persona, intendeva dire “dicci Maria” con la “c” doppia.

Per concludere vorrei ricordare a tutti che  quel sant’uomo chiamato Alessandro Manzoni, prima di pubblicare “Fermo e Lucia” divenuto poi (peccato che il titolo sia cambiato!) “I Promessi Sposi”, discese dalla Lombardia per fare un salto
 nella nostra Toscana, per sentire la lingua viva dei toscani, derivante dalla lingua Etrusca. Il suo fu uno “sciacquare i panni nell’Arno”, benedetto lui! Tutti noi, dobbiamo fare i conti con la lingua italiana e scendere di tanto in tanto sulle rive dell’Arno, dove nessuno più sciacqua i panni, poiché tutti hanno le lavatrici elettriche. Ma farebbe bene lo stesso!


Paolo Campidori

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