Premesso che è necessario dare alla Storia ciò che è della Storia e non della propaganda politica, la colonizzazione italiana della Libia fu avviata dal Governo Giolitti, sotto l’egidia della monarchia italiana, sotto la pressione lobbistica delle industrie di armi e dei gruppi finanziari che stavano  investendo nel territorio nord-africano e l’intervento  militare contro i Turchi, che occupavano parte della Libia, ebbe inizio nell'Ottobre 1911 concludendosi, dopo circa un anno, con gli Accordi di pace di Losanna e obbligando i Turchi a lasciare il territorio libico (in particolare la fascia   costiera tra Zuara e Tobruk) sotto il dominio italiano. Dal 1912 iniziò quindi un progressivo “processo di  colonizzazione” istituzionale, demografica e territoriale della Libia, che fu amplificato con l'avvento in Italia del Governo Fascista di Mussolini ed ebbe il suo culmine negli anni '30, quando dall’Italia verso la Libia si registrò un fenomeno migratorio di massa, con ingenti spostamenti di popolazioni provenienti soprattutto dal Veneto, dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Basilicata.

Il comportamento dell'Italia in Libia, così come nelle altre colonie di “dominio diretto”, non fu affatto dissimile da quello delle altre potenze coloniali presenti in Africa e in Asia: Francia, Inghilterra, Germania, ovvero l'esproprio dei terreni, la confisca dei beni dei "ribelli", il ricorso al lavoro forzato, fino alle pratiche di trasferimento coatto delle popolazioni indigene e la deportazione e segregazione in campi di internamento delle popolazioni “ribelli” capeggiate da Omar  el-Mukhtàr. Il Generale Badoglio  - monarchico, quello dell’8 Settembre italiano -  in una lettera a Graziani del 20 Giugno 1930, giustificò le deportazioni perché "occorre creare un distacco territoriale tra le formazioni ribelli e le popolazioni sottomesse, onde impedire alle seconde di sostentare le prime..., ed urge far refluire in uno spazio ristretto, lontano dalle loro terre originarie, tutta la popolazione sottomessa, in modo che vi sia uno spazio di assoluto rispetto tra essa e i ribelli.

Nel 1939, la comunità italiana aveva ormai raggiunto il 13% della popolazione complessiva. Il “fenomeno migratorio” italiano verso la Libia cessò quasi del tutto nel 1940 con l'ingresso dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale e si concluse definitivamente nel Gennaio 1943, quando la Libia venne occupata dalle truppe degli Alleati (anglofrancesi) per passare poi sotto il dominio (“protettorato”) inglese, cui seguì una dura “repressione” nei confronti dei civili “fascisti italiani” e “collaborazionisti arabi”. Molti furono gli Italiani e i “collaborazionisti” internati nei campi di concentramento inglesi. Ciò nonostante ed anche a seguito della fine del “colonialismo inglese”,  molti Italiani decisero comunque di rimanere in Libia per motivi di natura commerciale e finanziaria: nel 1962, gli Italiani residenti in Libia erano ancora 35.000.

 Il 7 Ottobre 1970, a seguito del Colpo di Stato del Colonnello Gheddafi del 1969, circa 20.000 Italiani residenti in Libia furono espulsi dal Paese con il diritto di portare una sola valigia e tutti i loro beni vennero confiscati in violazione del trattato italo-libico del 1956, stipulato sulla base della  Risoluzione Onu del 1950 che condizionava la nascita della Monarchia libica indipendente al  rispetto dei diritti e degli interessi delle minoranze residenti nel Paese. Il valore dei  beni  immobiliari confiscati venne calcolato, con valuta al 1970, dal Governo Italiano in 200 miliardi di Lire. Ai beni confiscati andavano inclusi i depositi bancari e le varie attività imprenditoriali e artigianali con relativo avviamento: questa cifra superava i 400 miliardi di Lire che, attualizzati al 2010, significherebbe circa 5 miliardi di Euro. In quarant’anni non vi è mai stato
un provvedimento ad hoc che prevedesse l’adeguato risarcimento per la confisca del 1970. Gli aventi diritto  hanno beneficiato, da parte dello Stato italiano, solo delle provvidenze previste dalle leggi di indennizzo a favore di tutti i cittadini italiani che hanno perso beni all’estero.

Niente dalla Libia del leader Gheddafi. La confisca del 1970 venne giustificata da Gheddafi come parziale ristoro dei danni derivanti dalla colonizzazione: danni ambientali e naturali provocati dall'occupazione italiana,
soprattutto in relazione ai processi di industrializzazione per le estrazioni dell’acqua e petrolifere (sic ! – solamente nel dopoguerra e sotto il dominio degli “alleati” e successivamente degli inglesi iniziarono le trivellazioni petrolifere), oltre al riconoscimento dei crimini commessi dall'Esercito Italiano sulla popolazione civile. Una sorta di acconto sul preteso saldo che oggi Gheddafi continua a richiedere al Governo Berlusconi riuscendo ad ottenerlo. Mentre i Governi italiani succedutesi  nel tempo, ed
oggi il Governo Berlusconi, non hanno da parte loro mai preteso dai Libici il rispetto del Trattato violato ricorrendo alla prevista clausola arbitrale (art. 9) né hanno mai posto sul tappeto il valore di quei beni “restituiti” al popolo libico se non altro per diminuire le pretese del Colonnello.
Neanche nell’accordo Dini-Mountasser, firmato a Roma il 4 Luglio 1998, che doveva chiudere tutto il contenzioso, non si fa minimamente cenno al valore dei beni confiscati agli Italiani. Con tale accordo  lo Stato italiano non si impegnava direttamente a risarcire la Libia, ma decretava la legittimità della sua richiesta, anche se il testo non fu mai inviato a ratifica parlamentare.

Tre anni dopo, fu abbandonata da ambo le parti ogni pretesa di concretizzare gli impegni dell’Accordo Dini-Mountasser per giungere alla decisione di realizzare un "gesto simbolico" col quale il Governo Berlusconi avrebbe onorato il debito. Nella fase iniziale dei negoziati, si parlò di un
importante ospedale oncologico, in seguito di realizzare un’autostrada lungo la costa che avrebbe unito il confine tunisino a quello marocchino. Oggi, è vero, l’Italia ha molti interessi economici in Libia, in particolar modo legati ad aziende italiane impegnate meccanicamente nell’estrazione del petrolio e nelle costruzioni e mantenimento delle reti stradali; inoltre l’ENI, presente nel paese sin dal 1956, ha costruito l'unico gasdotto che unisce la Libia con l'esterno ed ha portato, politicamente, all’affaire
Mattei. Inoltre, pur essendo l’Italia alleata degli USA, della Francia e dell’Inghilterra, sin dagli anni '70 aveva sottoscritto dei “patti segreti” di non belligeranza politico-militare-economico con il leader Gheddafi e più recenti, pubblici, di “sicurezza delle coste italiane” che sembrano dipendere molto dai rapporti diplomatici tra questi due paesi, soprattutto per motivi geografici. E’ infatti dalla Libia che partono la maggior parte degli immigrati clandestini che dall’Africa tentano di raggiungere l'Europa sbarcando sulle coste italiane. Come è sempre, però, dalla Libia che parte il “processo di islamizzazione” dell’Europa, che vede coinvolto politicamente una parte dello Stato del Vaticano, o meglio della Chiesa, in contrapposizione all’attuale dottrina papale, teso all’unificazione delle due fedi religiose. Non sarebbe quindi da considerarsi “strano” un incontro privato tra il leader Gheddafi ed alcuni esponenti della Chiesa.

Mentre Berlusconi si complimenterà con Gheddafi per la scelta “propagandistica” di inserire l’effige del volto dei due sui nuovi passaporti libici, noi, Nuova Destra Sociale, facciano nostre quelle che non fa lo Stato italiano, ovvero le rivendicazioni degli  Italiani e dei loro eredi espulsi da Gheddafi nel 1970:

1) Il diritto di ritornare nel paese dove sono nati e dove hanno trascorso gran parte della loro vita. La Libia, infatti, proibisce tuttora il rilascio del visto a tutti gli Italiani nati nel paese se non dopo aver compiuto 65 anni, tramite un viaggio organizzato e con i documenti di ingresso sia in italiano che in arabo;

2) L’elenco completo dei beni immobiliari confiscati; l’elenco completo, con l’ammontare del saldo, dei conti e depositi bancari confiscati; l’elenco completo delle aziende commerciali, aziende artigianali e aziende agricole confiscate al fine di contabilizzare e richiedere un giusto indennizzo per le confische subite oltre che agli Italiani espulsi ancora in vita anche agli eredi fino alla seconda generazione.

Gli italiani espulsi dalla Libia sono 40 anni che attendono giustizia!
Già da ora rendiamo pubblico che mentre il 7 Ottobre la Libia festeggerà il "giorno della vendetta per celebrare la cacciata degli Italiani", Nuova Destra Sociale il 10 Ottobre prossimo ricorderà il quarantesimo anniversario della loro espulsione dalla Libia. Noi non abbandoniamo la lotta, non possiamo credere che in uno stato di diritto non si riesca ad avere giustizia; nè che il Presidente del Consiglio seguiti ad ignorare la comunità italiana espulsa dalla Libia, come ha sempre fatto fino ad ora,
mentre invece riceve Gheddafi.

Nuova Destra Sociale
Commissione Politica Estera

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