Nella notte del 3 settembre scorso, nel quartiere San Pellegrino, si sono verificati nuovi e gravi episodi di violenza, organizzati da squadre di giovani estremisti di destra.
Quanto accaduto assume una particolare gravità considerato che la città, in quelle stesse ore, in occasione dei festeggiamenti per Santa Rosa e della contemporanea presenza del presidente del Consiglio, era sorvegliata da centinaia di agenti delle forze dell’ordine.
L’episodio non appare un caso isolato, ma segue ad altri fatti della medesima gravità, compiuti da parte di sedicenti bande nazifasciste presenti nella nostra città e nell’intera provincia, che si muovono in un clima di intolleranza e di odio, in una sottocoltura di violenza e prepotenza.
Quest’ultima aggressione ha suscitato reazioni di sdegno che confortano, in politica come nei media. Bene, però non basta.
Condivido la fermezza del Questore, Raffaele Micillo. In queste ore, serve adoperarsi affinché i responsabili di tali gravi episodi vengano catturati e portati in giudizio.
La preoccupazione per questi fatti di violenza e intolleranza è nobile, ma la prima cura, la più elementare e radicale è la repressione di chi, in nome di un’ideologia nefasta, viola il codice penale.
“Prendere i colpevoli”, slogan usato per malviventi e delinquenti comuni, non può essere usato ad intermittenza, va invece impugnato con la stessa fermezza anche per quei giovani estremisti che aggrediscono chiunque percepiscano come diverso, approfittando del numero e dell’impunità.
Se lasceremo che questa feccia assurga a invincibile figura di forza, l’aggressione al quartiere San Pellegrino e quella successiva al Sacrario diverranno cronaca quotidiana .
Credo, infine, che questi ripetuti fenomeni non possono essere liquidati con generiche quanto affrettate dichiarazioni . Non basta “ placare gli animi di questi giovani esuberanti” o istituire anomale ronde notturne.
Il sindaco Marini farebbe bene a interrogarsi su come è cambiata questa città negli ultimi quindici anni. Come è cambiata nella sua morfologia e come sono cambiati i luoghi e i modi di vivere dei viterbesi. Intorno a questi interrogativi, bisognerebbe riscrivere l’agenda politica.
Queste forme di intolleranza e di violenza possono e devono essere sconfitte. La condizione è quella di riuscire a svolgere un’attività di prevenzione e a diffondere una nuova cultura incentrata su una migliore coesione politica e sociale. In questi settori, dobbiamo investire risorse per potenziare e qualificare gli interventi. Solo così riusciremo ad impedire il radicamento e la diffusione di questa corrente di intolleranza che corre sotto la crosta della nostra città.
La diversità dei ruoli e delle competenze rappresenta, in questo caso, non un limite all’iniziativa bensì una ricchezza, un’occasione preziosa di collaborazione che, se saputa utilizzare al meglio, potrà aiutarci a perseguire questo ambizioso e non più rinviabile obiettivo.
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