La pièce di Antonello Ricci è appena diventata un libro
(Davide Ghaleb editore, 2009, illustrazioni di Alfonso Prota)
Assessorato alla cultura del Comune di Vetralla e il museo della Città e del Territorio
PRESENTANO
Sabato 7 novembre, ore 18.00 - Vetralla, palazzo Zelli
Interverranno
Luca Mancini, assessore alla cultura del Comune di Vetralla
Elisabetta De Minicis, museo della Città e del Territorio
Eros Francescangeli, storico
A seguire
Sottoassedio, Viterbo 1921-1922
di e con Antonello Ricci e gruppo teatrale "Volgiti, che fai"
"Volgiti, che fai": Carla Altieri, Michela Benedetti, Pietro Benedetti, Olindo Cicchetti, Domenico Coletta, Sara Grimaldi, Edoardo Mantelli e Alfonso Prota (performance musico-pittorica)
In mostra le illustrazioni di Alfonso Prota
www.ghaleb.it
Così Eros Francescangeli nella sua Introduzione al libro:
Come scritto nell’avvertenza, il testo è quasi interamente progettato e costruito attraverso una puntuale analisi delle fonti coeve: dai fonogrammi della sottoprefettura, alle carte processuali (scovate e rielaborate con rigore metodologico), dagli articoli dei periodici, ai manoscritti di vario genere, dai manifesti alle fotografie. Una modalità costruttiva che, rispondendo ai desiderata dell’autore, non può non essere avvertita dal pubblico. Come è senz’altro percepibile la polifonia dei racconti, quelle «storie d’una estate insanguinata», in ogni caso «storie d’Italia», i cui strascichi si protrassero per anni con una forza inerziale straordinaria.
Non è questa la sede per ricostruire minuziosamente quelle storie. Storie di persone, con le loro emozioni, i loro assilli, i loro tentennamenti, le loro illusioni, il loro dolore. Credo, invece, sia il caso di contestualizzarle, come di riflettere sulla «consapevolezza» che il fascismo non fosse «estraneo al dna locale, alla pax campanilistica». Il fascismo viterbese cominciò ad affermarsi nella primavera-estate del 1921 grazie al sostegno militare degli squadristi umbri e della provincia romana e all’appoggio politico dei proprietari terrieri. Inizialmente, venne dunque percepito dalle schiere più umili della popolazione viterbese – ma anche dalla classe dirigente locale – quasi fosse un corpo estraneo al tessuto cittadino. Dopo i fatti del luglio 1921 e il triste epilogo fu possibile assistere a un progressivo avvicinamento della città verso il fascismo. Nell’estate del 1922 il movimento mussoliniano era già insediato dentro le mura civiche e le autorità politiche lo tenevano, rispetto l’anno precedente, in ben altra considerazione.
Non deve stupire dunque che taluni siano transitati nelle file avversarie, distinguendosi come accesi anti-antifascisti, ricorrendo a forme estreme di violenza. Metodi di lotta politica, del resto, utilizzati anche dall’arditismo popolare. L’antifascismo viterbese, infatti, non era certo restato a contemplare gli eventi con le mani in mano: se il 5 settembre del 1921 venne ucciso il fascista Melito Amorosi, il 15 giugno dell’anno successivo la stessa sorte toccò allo squadrista Luigi Pellizzoni. Se ciò sia riconducibile a questione “genetica” (il dna cui fa riferimento Antonello) non so dire; è tuttavia certo che episodi simili si verificarono anche altrove. Il passaggio di alcuni «sovversivi», specialmente se pregiudicati, da una parte all’altra della barricata non fu una prerogativa del capoluogo della Tuscia. E, si badi, il fenomeno della “capitolazione” al fascismo non riguardò solamente la “base”. Ad esempio, tra i dirigenti nazionali degli Arditi del popolo, soprattuto dopo il 1924, “mollarono” figure del calibro di Vittorio Ambrosini e Giuseppe Mingrino, che divennero confidenti della polizia politica. Mentre a livello locale, la medesima “carriera” spionistica venne intrapresa dal deputato socialista e sostenitore dell’arditismo popolare viterbese Epifanio Antoci, nome in codice Catullo e definito dallo studioso Canali «uno dei collaboratori più antichi» della polizia politica. Brutte storie. Pur sempre «storie d’Italia».
Ovviamente – e per nostra fortuna – ci furono anche persone quali Domenico Adolfo Busatti o Duilio Mainella che non vollero associarsi al fascismo trionfante. Figure svettanti per statura morale. Persone d’altri tempi. E, proprio tramite Mainella, il ritratto che Antonello Ricci traccia di queste figure è un ritratto di gente sobria e coraggiosa, coerente e ostinata, degna di sedere, come recita l’iscrizione di Mainella sulla lapide di Antonio Tavani, nel «congresso dei liberi». E a costoro – come al drammaturgo che li ha rianimati, traendoli dalla polvere degli archivi – dobbiamo il nostro ringraziamento.
- Uno Notizie Vetralla - Viterbo -
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