GRAN BRETAGNA - ( UNONOTIZIE.IT ) A 150 anni dall'«Origine delle specie» di Darwin l'evoluzione si fa anche artificiale. O meglio, ci prova, perché la strada è ardua ma certamente interessante. Con un fine: costruire una specie robotica. La sfida è in corso da quasi mezzo secolo ed ora si guarda al modello naturale dell'evoluzione biologica come ad un riferimento importante.
Così nel laboratorio della Gordon University di Aberdeen, in Gran Bretagna, Christopher MacLeod ha realizzato un robottino che, a vedersi, sembra un giocattolo aperto da un bimbo curioso. Da un punto di vista meccanico è semplice; quello che conta è il suo «cervello» perché è concepito come una «rete neurale capace di crescere, esattamente come accade negli animali — nota MacLeod — con la differenza che mentre la natura impiega milioni di anni per modificarsi nel nostro robot si richiedono poche ore». In pratica accade che gli scienziati innestano nella loro creatura via via via dei nuovi pezzi, altre gambe o sensori di vario genere. Nel contempo sviluppano il «cervello» aggiungendo unità di elaborazione, cioè dei «neuroni artificiali» che funzionano con un algoritmo di base in grado di evolvere, accettando i cambiamenti e modificandosi di conseguenza. «Analogamente al cervello animale — precisa MacLeod — il quale, evolvendo sovrappone gruppi di neuroni alle strutture neurali già esistenti». Il software, oltre ad adattarsi, impara le cose nuove da compiere.
Il robottino sperimentato ha le dimensioni di un libro tascabile. Inizialmente dotato di due ruote, poi è cresciuto con quattro ruote e una telecamera. «Nel frattempo acquisiva altre nozioni — spiega il ricercatore — fino a simulare un'operazione complessa come quella compiuta dall'insetto saltafango, il quale riesce ad effettuare dei balzi». Oltre il movimento, altrettanto succede attraverso la visione incamerando i dati ambientali in cui agire.
«In questo modo sviluppiamo un'intelligenza artificiale che permetterà di realizzare robot anche umanoidi, oppure delle protesi artificiali, in grado effettuare azioni sempre più complesse». «E un buon risultato — commenta Giulio Sandini, responsabile del Dipartimento Robotic Brain and Cognitive Sciences dell'Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova — che offre elementi utili alla ricerca robotica la quale spazia su vari fronti». E la «robotica evoluzionistica» è uno di questi, mobilitando diversi gruppi in Europa e negli Stati Uniti. Un team franco-svizzero proveniente dall'Ecole Polytechnique Federale di Losanna e dell'università di Bordeaux, aveva, ad esempio, realizzato nel 2007 una sorta di salamandra per simulare l'uscita dalle acque e la conquista della terra. «Tutte le sue gambe erano autonome e il cervello imparò a gestirle», aggiunge Sandini. «Il modello dell'evoluzione è interessante — commenta Roberto Cingolani, direttore dell'Istituto italiano di tecnologia — perché se la natura lo ha scelto vuol dire che ha attuato una selezione fra le tante possibilità non trovando niente di meglio. Però nella ricerca robotica e dell'intelligenza artificiale non dobbiamo limitarci a questo approccio. E' meglio procedere in parallelo contemporaneamente per altre vie. Perché — conclude Cingolani — l'evoluzione dei robot mira a soddisfare diverse funzioni talvolta molto lontane fra loro. Un robot lavavetri avrà necessariamente un'intelligenza ben diversa da un androide che assiste un malato. Certo, l'evoluzione rimane un modello importante, fonte di preziosi suggerimenti».
Commenti |
||
nessun commento... |