Confartigianato Viterbo, ultime notizie Tuscia - Confartigianato, in quanto associazione datoriale di categoria ben consapevole del contesto sociale nel quale opera, non può sorvolare sull’importanza di particolare rilievo che riveste il lavoro di tipo dipendente, caratterizzata da un’oggettiva dimensione largamente dominante nell’economia odierna. Attenzione e dignità qualitativa non minore, però, va e deve essere riconosciuta al lavoro autonomo e in generale alle libere professioni.
Per noi è impensabile che possano concepirsi per esse limiti artificiosi o ingiustamente complessi all’accesso e all’esercizio, anche solo attraverso l’organizzazione in albi e ordini che, di fatto, generino effetti di tendenziale oligopolio in alcuni settori. L’accesso a detti albi e ordini, e in generale le normative regolatrici delle professioni e dei mestieri, non possono che rispondere alle sole esigenze di pubblica conoscenza e garanzia dei titoli di competenza posseduti da chi desidera esercitare le relative attività.
Ancora più pregnante, nel quadro complessivo del sistema economico, a motivo della sua oggettiva dimensione e pervasività tanto in campo macroeconomico quanto in campo microeconomico, cioè nella concreta vita delle singole imprese e famiglie, è la politica del credito. Crescentemente condizionata e poi dominata negli anni recenti dagli interessi dell’economia finanziaria speculativa piuttosto che da quelli dell’economia reale, essa è stata causa centrale dell’attuale crisi, dalle cui spire mortali occorre rapidamente sottrarla, recuperandone la missione eticamente corretta di massimo e istituzionale strumento della comunità per lo sviluppo del sistema complessivo e solidale.
In tal senso noi proponiamo innanzitutto il ripristino della distinzione tra banca di risparmio e investimento da un lato, banca d’affari dall’altro. Inoltre, la riacquisizione alla proprietà dello Stato, e in genere della mano pubblica, di almeno un grande istituto bancario con l’esplicita vocazione alla raccolta del risparmio dei cittadini e alla relativa finalizzazione all’economia reale, nonché la valorizzazione del risparmio collettivo dei lavoratori e degli utenti, in termini sia di risparmio contrattuale vero e proprio sia di azionatario diffuso. Un azionatario, quest’ultimo, che venga a sua volta coerentemente collegato con istituti favorevoli a modelli di partecipazione penetrante dei lavoratori nell’impresa, anche in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione. Cointeressenza, accesso ai dati reali di bilancio e agli strumenti di controllo e di decisione devono essere in questo senso veri, certi e tempestivi.
Grande e qualificante, non meno di quanto lo sia stato in passato, resta in tale quadro il valore imprescindibile di un sindacalismo libero e pluralistico, specialista della contrattazione collettiva e della tutela individuale dei lavoratori, ma anche soggetto di formazione costante della più elevata coscienza lavorista e sociale del paese. Pensiamo che, posto il quadro descritto dalle politiche economiche, sia realistico il raggiungimento di quell’obiettivo del reddito vitale di dignità da assicurare a ogni persona, che ci sembra giusta frontiera attuale di ogni politica sociale. Occorre peraltro che, nel contesto armonico del sistema di libertà e solidarietà, le leve strategiche di governo delle risorse essenziali siano effettivamente in mano allo Stato e agli enti territoriali che ne articolano la soggettualità a livello delle singole comunità.
Vi sono beni fondamentali per la dignità di vita della persona che è necessario considerare, per loro natura, strettamente collettivi e pubblici: tali ad esempio l’acqua, l’ambiente, la sicurezza, i beni culturali. Essi non possono essere lasciati dunque alla semplice autoregolazione del mercato ma devono necessariamente essere garantiti nel loro “accesso universale” non solo dalla proprietà pubblica ma anche dalla gestione pubblica, statuale o territoriale a seconda della loro tipologia o natura. È necessario in questo caso parlare serenamente e fortemente di monopolio pubblico irrinunciabile.
Vi sono latri beni, non altrettanto fondativi ma pur sempre strategici per la qualità della vita umana (come ad esempio l’energia, la scuola, i trasporti, la sanità, la previdenza) per i quali è concepibile la larga partecipazione dell’iniziativa privata anche a fini di lucro, ma è nello stesso tempo impensabile che lo Stato non operi attivamente tra i competitori, a garanzia del già citato accesso effettivamente equo e universale ai relativi servizi. A questo proposito, siamo del tutto contrari a ulteriori elementi di privatizzazione di aziende come Eni, Enel, Terna, Finmeccanica, Rai e simili.
Si tratta in realtà di assicurare alla politica di intervento dello Stato nei settori che stiamo citando la reale sussistenza e chiarezza attiva del concetto centrale di liberalizzazione, da sostituire a quello semplicistico di privatizzazione. Vi sono infine tutti gli altri beni e servizi a carattere variamente voluttuario, o comunque non influente sulla qualità e dignità strutturale della vita umana, per i quali riteniamo giusto che il mercato possa esplicare in pienezza le proprie regole secondo libera e ordinata competizione di tutti i soggetti, senza che lo Stato debba avvertire alcun particolare obbligo di intervento calmieratore, salvo invece sempre l’obbligo di essere garante dell’eticità delle norme e dei comportamenti contrattuali.
Non vi è, insomma, in una società giustizia civile e sociale senza un’economia prospera di opportunità per i singoli ma anche equamente regolata in vista del bene comune. In tal senso una politica economica socialmente orientata è parte tra le più qualificanti del programma di sviluppo della nostra associazione.
Il Presidente
Stefano Signori