La zona è una sorta di triangolo magico che trova i suoi vertici nei comuni di Bomarzo, Soriano nel Cimino e Vitorchiano. Un territorio impervio e selvaggio, caratterizzato da valli scoscese frapposte tra aspri pianori tufacei i cui ripidi fianchi strapiombano sui letti di fossi e torrenti. Un tripudio di macchie, declivi ed umidi anfratti, rifugio di volpi, cinghiali e spinose. Qui l’uomo non ha mai posto stabilmente le sue basi: i luoghi risultano tutt’oggi poco o nulla antropizzati; solo qualche fatiscente casale o modeste costruzioni di supporto all’agricoltura e all’allevamento del bestiame punteggiano i campi dove piantagioni di noccioleti contendono gli spazi all’abbraccio dei boschi.
Ma la cosa che maggiormente colpisce l’escursionista è la presenza a valle, o in apparente precario equilibrio sui tormentati versanti, di un impressionante numero di enormi massi tufacei, evidentemente distaccatisi ab antiquo dai sovrastanti pianori a causa dei movimenti tellurici e dell’azione corrosiva dell’acqua e del vento, e rotolati giù nei valloni, quando non artatamente trattenuti da ostacoli lungo il loro percorso.
Può apparire naturale e perfino conveniente che qualcuno in un passato non ancora del tutto definito abbia voluto scolpire queste emergenze lapidee per trarne monumenti funebri o altari. Tombe, are o altro che siano i monumenti rupestri tra i Monti Cimini e la Valle del Tevere di cui questo libro si occupa, sprigionano un fascino del tutto particolare e ci pongono muti e inquietanti interrogativi. Chi vede per la prima volta il cosiddetto “secondo sasso del predicatore” nella Selva di Malano, tra Bomarzo e Soriano nel Cimino, potrebbe provare la stessa attonita sorpresa dei primati che nel capolavoro di Kubrick “2001 Odissea nello spazio” scoprono il famoso monolite nero che lancia segnali verso Giove.
In mezzo ad una vegetazione non ancora lussureggiante, per chi visita i luoghi ad inizio primavera, si erge solitario e incongruo questo cubo di pietra dalla base modanata insistente su un alto basamento, abbastanza ampio da ospitare i gradini di una breve scalinata laterale di accesso alla sommità del “cubo”. Irresistibile la tentazione di salirvi per trovarsi su una piccola piattaforma che apre lo sguardo verso un orizzonte infinito.
Ma l’autentica meraviglia di questa serie di singolari architetture rupestri è la cosiddetta “Piramide” di Bomarzo: viene da chiedersi come sia possibile che un tale monumento - unico nel suo genere - sia rimasto per secoli sconosciuto. Il nome che gli è stato attribuito è dovuto al fatto che il ciclopico macigno posato su un costone del bosco in località “Rocchette”, saldamente sostenuto da altro enorme masso che poggia sul declivio della scarpata compensando il dislivello, ha una forma vagamente piramidale. Così pure l’insieme potrebbe richiamare alla mente una sorta di piramide azteca. Arrivarci non è scontato: due volte i nostri tentativi sono andati a vuoto. Poi ci siamo trovati lì, al cospetto di questo immane masso di peperino che mani misteriose duemila e più anni fa hanno sapientemente intagliato fino a ricavarne una lunga scalinata e due vani fiancheggiati da scale laterali per accedere ad una piattaforma balaustrata. Ancora l’emozione di salire fino al sommo per provare quel senso di infinito, con lo sguardo libero di spaziare oltre la regione del Tevere, verso l’Umbria e oltre ancora.
Potrà sembrare inverosimile, ma su un tale complesso di emergenze storico-archeologiche non esisteva ad oggi alcuna letteratura scientifica, se non frammentaria o episodica. Analogamente per la documentazione iconografica: di tipo occasionale e soprattutto lacunosa, se non propriamente carente. Il fatto è che da quando, intorno alla metà degli anni ottanta, questi singolari monumenti - fino ad allora noti solo ai contadini del posto e a qualche esperto locale - sono stati “scoperti” da un pubblico più vasto, hanno costituito quasi esclusivo oggetto di pubblicazioni sporadiche su periodici a limitata diffusione e con intenti più che altro divulgativi: brevi descrizioni, esperienze e resoconti di escursionisti; niente che possa definirsi organico e approfondito.
Questo libro rappresenta quindi la prima opera per quanto possibile completa, condotta con metodo scientifico da studiosi di fama internazionale specialisti del settore, sui monumenti rupestri etrusco-romani dislocati nell’area compresa tra i Monti Cimini e la Valle del Tevere. Il primo testo che cerca di darne una catalogazione e quindi una classificazione con riferimento alla cronologia, tipologia e funzione, promuovendo altresì il raffronto con monumenti simili dell’ area romana. Il fortunato incontro tra l’associazione Canino Info Onlus e i proff. Prayon e Steingräber ha consentito di dar vita e corpo a questo progetto.
Il prof. Stephan Steingräber in particolare ha già pubblicato con l’associazione Canino Info Onlus nel 2009 “La necropoli etrusca di San Giuliano e il museo delle necropoli rupestri di Barbarano Romano”, mentre il prof. Friedhelm Prayon ha presentato nel corso del convegno “L’Etruria rupestre dalla protostoria al medioevo” tenutosi a Blera e Barbarano Romano nell’ottobre 2010, in cui la nostra associazione figurava tra gli sponsor, lo studio preliminare del presente saggio. Questo volume, oltre al citato catalogo con le schede monografiche dei principali monumenti curato dal prof. Prayon, presenta nella prima parte una monografia del prof. Steingräber sulla storia delle ricerche e scoperte del complesso apparato monumentale, sullo sfondo del relativo contesto storico e socio-economico. Il libro si qualifica inoltre per un’ampia documentazione fotografica, ricca di immagini inedite appositamente realizzate e per una accurata bibliografia sistematica.
L’aver promosso, realizzato e diffuso l’ultima opera di tali insigni studiosi di archeologia, è coerente con i nostri fini di valorizzazione e divulgazione delle risorse storiche, artistiche e culturali di un territorio, la Tuscia, che non finiremo mai di scoprire e che non cesserà mai di sorprenderci.
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