PUGLIA, BRINDISI: RECORD DI MALFORMAZIONI TRA I NEONATI. principale sospettato è l'inquinamento. Sotto accusa il polo industriale. Ultime notizie Puglia, Brindisi - Il primo record la piccola cittadina
pugliese se l'era aggiudicato per le emissioni di gas serra: la
centrale a carbone dell'Enel “Federico II”, il primo
impianto in Italia per emissioni di gas serra, con i suoi 15 milioni
di tonnellate di Co2 l'anno. Oggi uno studio condotto dall'Istituto
di Fisiologia Clinica del CNR di Lecce e Pisa presso il reparto di
Neonatologia dell'Ospedale “A. Perrino” e della ASL di Brindisi,
rivela un altro triste record: quello dei neonati affetti da
gravi anomalie congenite.
Tra il 2001 e il 2009, su 7664
neonati, 176 erano affetti da gravi malformazioni. Un dato che
supera del 18% quello registrato nel resto d'Europa. Del 67% quello
per le anomalie cardiovascolari. Un dato solo parziale, poiché
riguardante i neonati, coloro cioè che ce l'hanno fatta a venire
alla luce e che non include quindi quelle gravidanze interrotte
proprio a causa delle anomalie cardiache complesse che colpiscono i
feti prima della nascita. Che sono ben il 50%, secondo il dirigente
di neonatologia di Brindisi Enrico Rosati, responsabile dell’Unità
semplice di cardiologia fetale e neonatale.
Lo studio inoltre
non riporta le cause di tali malformazioni ma è forte il sospetto
tra la popolazione che il principale responsabile sia l'inquinamento,
ossia quel mix micidiale di sostanze immesse in aria, acqua e
sottosuolo dalle numerose industrie chimiche ed elettriche che
affollano l'area produttiva della città.
A Brindisi infatti
si concentra uno degli agglomerati industriali più invasivi
ed inquinanti d'Europa: chimica, energia, carbone, petrolio, gas. Non
ci si fa mancare proprio nulla. E poi c'è 'lei', la centrale di
Brindisi Sud “Federico II”, con il suo triste primato di centrale
a carbone più inquinante d'Italia per emissioni di Co2 e non solo.
Ossidi di azoto, ossidi di zolfo, particolato. E poi cloro, arsenico,
mercurio, piombo, nichel e cromo: sono solo alcune delle sostanze
normalmente vomitate da una centrale a carbone.
Per questo
motivo nel 2007 il sindaco Domenico Mennitti aveva dapprima vietato,
con un'ordinanza, la coltivazione agricola dei campi limitrofi alla
centrale, per poi interdire totalmente la zona a causa dell'elevato
tasso di inquinamento dei terreni. Associazioni, comitati,
movimenti e singoli cittadini si sono mossi per richiedere alle
principali autorità politiche e sanitarie l'avvio di un'indagine
epidemiologica per stabilire un'eventuale correlazione tra i veleni
emessi dal gigantesco polo chimico-energetico e gli inquietanti dati
sanitari emersi.
“Molti di noi hanno visto parenti e amici
ammalarsi e morire. Viviamo nella preoccupazione che ciò possa
continuare e colpire i nostri figli” - si legge nelle lettera
inviata dalla rete Brindisi Bene Comune alle autorità - “Chiediamo
quindi che sia rapidamente effettuata una indagine epidemiologica
che dovrebbe essere condotta su popolazioni a rischio per la
prossimità a fonti di emissione comparandole con popolazioni a minor
rischio perché a maggior distanza dalle stesse fonti.
Chiediamo
che siano ricercate le principali sostanze tossiche e cancerogene,
emesse dai processi produttivi delle diverse attività industriali
pericolose, nell'aria, nel suolo, nell'acqua, negli alimenti
provenienti dalle vicinanze delle predette attività e nel sangue e
nelle urine di lavoratori e di cittadini esposti”.
Già tra
1990 e il 1994 l'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva rilevato
nel brindisino un'altissima incidenza di mortalità dovuta a
tumore polmonare, patologie del sistema linfoematopoietico e linfomi
non Hodgkin. Soprattutto nella popolazione maschile, ossia quella
maggiormente impiegata nelle lavorazioni industriali.
Un
altro dubbio da sciogliere è infatti quello legato alle numerose
morti di lavoratori del petrolchimico: “Chiediamo in
relazione alle morti di lavoratori del petrolchimico una rianalisi
della coorte lavorativa del petrolchimico di Brindisi, la cui
mortalità è stata erroneamente comparata con quella della
popolazione generale. La mortalità dei lavoratori del CVM doveva
essere comparata con quella dei lavoratori non impegnati sugli
impianti. In questo modo si potrà conoscere, come a Venezia, il
numero di decessi in più attribuibili a quella lavorazione”.