Soriano nel Cimino
Con il patrocinio del
Comune di Soriano nel Cimino
e in collaborazione con Fondazione A.DI.ART e Associazione Culturale Soriano Terzo Millennio ONLUS
Associazione Culturale
Magnitudo
presenta
PASSEGGIATA PIRANDELLO
La Sicilia a Soriano
passeggiata/racconto di e con Antonello Ricci
e
La Banda del Racconto
appuntamento ore 17.00 presso parcheggio comunale “Campetto dei Frati” a Soriano
la passeggiata/racconto si concluderà intorno alle 19.00 presso la chiesa della Madonna del Poggio
a seguire (19.30 circa) aperitivo con gli attori de La Banda del Racconto e de Le Maschere Allegre presso il bar “Chalet del Pino”
Partecipazione a sottoscrizione
La Banda del Racconto: Pietro Benedetti, Olindo Cicchetti, Sara Grimaldi
Un sentito grazie al sindaco di Soriano Fabio Menicacci
In allegato: Lapide con il
testo della poesia pirandelliana "Pian della Britta" (loc.
omonima presso Soriano nel Cimino)
L'iniziativa si inserisce nell'ambito della
III Edizione del Festival
PIRANDELLO OLTRE
programma previsto per domenica 19 giugno
parcheggio “Campetto dei frati”
21.15 Consegna premio “Pirandello dell'Anno” 2011
21.30 Spettacolo teatrale “Sei personaggi in cerca d'Analista”*
* Commedia scritta e diretta da Sergio UrbaniLe Maschere Allegre” di Soriano nel Cimino messinscena a cura della Compagnia Teatrale “
Non aver più coscienza d’essere, come una pietra, come una pianta: non ricordarsi più neanche del proprio nome: vivere per vivere, senza saper di vivere...
“Si tratta di un passo che
Pirandello ha utilizzato più volte, quasi senza cambiar parola. E’
nato con tutta probabilità da un foglietto, o da un appunto forse
scritto in una delle sue villeggiature alle falde del Cimino.”
(Giovanni Macchia, “Luigi Pirandello” in Storia della
letteratura italiana IX, Il Novecento, Garzanti, Milano 1969, p.
449). Pirandello, e quel suo sogno di fuga dalla coscienza, dal rito
funebre del nome, dalla vita che conclude. Un inno alla gioiosa
insensatezza delle cose, un languido invito a smemorarsi in esse:
morire ogni attimo e rinascere, nuovo e senza ricordi, non più in sé
ma in ogni cosa fuori. Da questa novella d’ambientazione sorianese
(Canta l'epistola), un fascio d’immagini, quasi un arcaico
formulario di propiziazione, irradia su non poca parte dell’opera
pirandelliana. Riaffiora puntuale, qua e là, torna come una
mnemotecnica d’affetti; e come un repertorio di temi musicali,
viaggia divorzia si ritrova. Profilando un vero e proprio viaggio
critico - segreto - nell’arte dell’autore girgentino. Quel come
da un’infinita lontananza, ad esempio, a cospetto “della
grazia e della soavità della campagna umbra”, rintoccherà
ipnotico in mente al protagonista de La carriola (1917), di
ritorno in treno da Perugia a Roma. Oppure, il fragor di mare
di cui s’è già accennato per Pian della Britta: dopo Canta
l’Epistola, con leggera variazione, diventerà il sordo
fragorio del mare che chiude la novella Colloquii coi personaggi
(1915): Pirandello, quasi in un sogno di luttuosa solarità,
rivede e parla con la madre morta. Non ha granché rilievo che qui,
al posto dei castagni sorianesi, siano le acacie del suo giardino a
Roma, a ricondurlo in Sicilia (anzi). E quel fruscio lungo, continuo,
che contrappunta l’ombra lenta e stanca della stanza - ombra che
brulica: presenze fantasmatiche premono ai bordi della scena,
invocano, per essere evocate - ci guida dritti alla Figliastra dei
Sei Personaggi: “... anch’io, signore, per tentarlo, tante
volte, nella malinconia di quel suo scrittojo, all’ora del
crepuscolo, quand’egli, abbandonato su una poltrona, non sapeva
risolversi a girar la chiavetta della luce e lasciava che l’ombra
gli invadesse la stanza e che quell’ombra brulicasse di noi...”
Poi: come non divinare, in quei picchi d’accetta su nel bosco dei
castagni (e picchi di piccone giù nella cava), almeno un pronostico
della trionfale alacrità de I Giganti (1931)? Di quegli scavi
e fondazioni, deduzioni d’acque, fabbriche, strade, colture
agricole, con cui essi hanno sconvolto il mondo, convinti di poterne
domare (e redimere) la sfuggente natura. A poca distanza dalle falde
boscose della loro montagna, presso la villa della Scalogna, tra una
calata d’angeli e magiche apparizioni di lucciole, l’incompiuto
dramma di Pirandello si svolgerà nel segno di Cotrone e delle sue
perenni, inarrestabili metamorfosi. Tutte queste immagini, inoltre,
ed altre ancora (la sterminata azzurra vacuità; la vanità dello
spazio, e d’ogni cosa; gli alti monti di là dalla valle, lontani
lontani), si dànno, non a caso, appuntamento in Uno nessuno e
centomila (1915-1926), vero e proprio romanzo-laboratorio
pirandelliano. E’ sorianese dunque, e senza dubbio, quella
passeggiata in montagna, ai paragrafi VIII-X del Libro secondo (per
il IX in particolare, Nuvole e vento, si rilegga la nota di
Macchia), compreso il monologo interiore di Vitangelo Moscarda
(ripescato, passo passo, dai pensieri del Tommasino Unzio di Canta
l’Epistola). Ma sorianese è pure - qualcuno l’aveva già
notato - il luogo amenissimo dell’ospizio, dove il protagonista si
ritira per il resto dei suoi giorni. E quella frescura d’alba,
proprio a congedo di romanzo, quella luce che non acceca ancora, che
non brucia le cose nella prigione della loro forma: scusate, ma io ci
rivedo gli azzurri, ed il verde dei Cimini.
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