EDITORIA, LOMBARDI E IL FENICOTTERO. Sabato 5 presentazione discussione a La Spezia - Due avvenimenti, uno strettamente storico-politico, la scissione di Livorno del 19 febbraio 1921 e l’altro sindacale, la ‘vertenza’ Fiat-Chrysler, cadono in occasione della presentazione del libro di Carlo Patrignani ‘Lombardi e il fenicottero’ (edizioni ‘L’Asino d’oro’) sabato prossimo (ore 16.30) al Centro Allende di La Spezia, per iniziativa del Psi locale. Con l’autore discuteranno l’economista Andrea Ventura dell’Universita’ di Firenze, il segretario del Psi Giacomo Gianello, il capo-gruppo al Comune, Maurizio Viaggi e Angelo Sollazzo della Direzione Nazionale del Psi.
A distanza oggi di 90 anni, non v’e’ dubbio che la storia per come sono andate le cose abbia decretato il fallimento del comunismo, certamente di quello realizzato nell’Urss, ed abbia invece salvato il socialismo, di certo quello delle orgini, che ha cercato di mettere assieme liberta’, uguaglianza e giustizia sociale. Forse si puo’ dire che – vista la crisi del modello comunista, socialdemocratico e neo liberista - a sopravvivere sia il ‘socialismo di sinistra’, il ‘riformismo rivoluzionario’ di cui Riccardo Lombardi e’ stato indubbiamente il piu’ prestigioso ed inascoltato protagonista.
“Viviamo e vivremo sempre di piu’ in una societa’ post-keynesiana o, come con lucida espressione, la definisce Rosanvallon, postsocialdemocratica. I problemi che essa suscita sono solo in parte un prolungamento nel tempo di quelli passati e il peggiore degli errori sarebbe di orientarsi – sosteneva Lombardi nel 1981 – su posizioni nostalgiche di un passato non piu’ recuperabile”. L’analisi che porto’ Lombardi nel 1959 a criticare la socialdemocrazia tedesca, quando con la svolta di Bad Godesberg spedi’ Carlo Marx in soffitta, riguardava la poca attenzione e quindi ambizione di incidere sulla democrazia economica, vale a dire sul cambiamento dello ‘status quo’ imposto dal modello neo-capitalistico. Una critica certamente forte, ma affatto non una bocciatura, tanto che apprezzo’ moltissimo le proposte in politica estera del ‘disarmo’ e del ‘neutralismo’ dai due blocchi (Usa e Urss) con l’avanzamento dell’Europa.
Non e’ dunque del tutto veritiera la ‘vulgata’ di certa storiografia, pure socialista, che fa di Lombardi un ‘cecchino’ limitandosi in mala fede alla sua dizione "origine servile" della svolta socialdemocratica e tralasciando tutto il resto. A posteriori, vista la crisi irreversibile del modello socialdemocratico, Lombardi non solo ha avuto ragione verso i socialdemocratici tedeschi ma anche verso chi, da Saragat a Nenni, da Craxi a Formica, ne fecero un punto di riferimento stabile. Dunque, tramontati il modello ‘postkeynesiano’ e ‘postsocialdemocratico’, “occorre percio’ suscitare una domanda sociale qualitativamente diversa (non gia’, s’intenda bene, piu’ povera ma piu’ ricca di quella di ieri) nella societa’ e nella classe operaia e promuovere – sottolineava Lombardi – una risposta da parte dello Stato qualitativamente diversa. E’ questa, mi sembra, la via regia per contrastare la minaccia – e qui entra in ballo la ‘vertenza’ Fiat-Chrysler – gia’ preoccupante che la fine della globalita’ del rapporto fra lavoratore e sindacato sbocchi in una frantumazione corporativa fatale al sindacato e in definitiva alla democrazia. Un compito questo – concludeva Lombardi – che non e’ da inventare perche’ gia’ presente alla riflessione sindacale e che suppongo (mi auguro) trovi ampio dispiegamento nella ormai imminente stagione dei congressi sindacali”.
Parole, si potrebbe dire, al vento: nulla e’ stato raccolto e neanche discusso. “La cosa che piu’ mi ha colpito e’ che in questo discorso (Primo Maggio 1967, Salone Matteotti, Torino) Lombardi non parla solo di programmazione socialista, di programmazione dell’economia da parte di forze socialiste o che hanno adottato i principi che esse proponevano. Parla anche dell’importanza della programmazione, della pianificazione capitalistica. Badate che non possiamo ragionare piu’ sul capitalismo, dice, come se fosse il capitalismo di trenta o quarant’anni fa, perche’ oggi anche il capitalismo ha bisogno di pianificazione e di programmazione giacche’ deve prevedere con anticipo di parecchi anni cosa succedera’ sul mercato”.
E’ quanto sosteneva il sociologico Luciano Gallino in un convegno del 2004 a vent’anni dalla morte di Lombardi. “E’ avvenuto che anche il capitalismo – sottolineava Gallino - non abbia dato retta a Lombardi. Non abbia cioe’ proseguito su quella linea che Lombardi vedeva in corso di sviluppo, una linea fitta di implicazioni da diversi punti di vista. In primo luogo perche’ essa esprimeva un capitalismo che, almeno per un periodo abbastanza lungo, non avrebbe avuto bisogno di comprimere i salari, avrebbe avuto necessita’ di espandere i mercati, ma non avrebbe avuto bisogno di tagliare il costo del lavoro”.
La stessa idea di programmazione e pianificazione delle risorse, Lombardi la pretendeva dallo Stato: le cose sono andate in maniera opposta. “Si pensi alla crisi Fiat che maturava con tutta evidenza da alcuni anni, mentre Governo e Confindustria – ricordava Gallino - hanno perso un anno e mezzo per vedere come si poteva sopprimere l’art.18 (Legge 300) o comprimere di qualche altro punto il costo del lavoro o dei contributi previdenziali. Dinanzi alla situazione attuale, possiamo constatare quanto sia costata questa doppia mancanza di programmazione.[…] Lombardi lo diceva molto lucidamente […] La programmazione da parte delle forze politiche, dello Stato, del Governo presuppone un avversario, un interlocutore che sia a sua volta capace di programmare, che ragioni di orizzonti ampi, che eviti la logica del giorno per giorno”.
Dieci anni prima, nel 1958, l’Ingegnere ‘acomunista’ rifiutava il concetto di “forza produttiva del lavoro”, l’equivalente di “produttivita’” di oggi. “Il lavoro in quanto riducibile al prodotto del lavoro (come altro potra’ misurarsi la forza produttivita’ del lavoro se non in termini di prodotto?) ridiviene un feticcio”, ammoniva. Pertanto "qualsiasi tentativo di definire la finalità della scienza economica che prescinda dal concetto di ‘alienazione’, e’ destinato alla sterilita’”. Queste chiare affermazioni trovano a piu’ di 40 anni di distanza la loro straordinaria attualita’. Il punto centrale e’ il capitalismo, il modello capitalistico che non ha mai saputo (o voluto?) distinguere i bisogni dalle aspirazioni: quel che conta e’ il profitto e la produttivita’, ossia il massimo utilizzo degli impianti per il massimo della produzione. Di qui, la logica dello scambio iniquo: ottimizzazione del lavoro e produttivita’ da una parte e dall’altra minori diritti e tutele con qualche euro in piu’.
Un modello, dunque, che prescinde totalmente dall’operaio come persona umana, portatore certo di beni materiali legati alla sopravvivenza (salario, casa, vestiti) ma anche e soprattutto di beni immateriali (studio, conoscenza, formazione, tempo libero per se e per far l’amore) insopprimibili. Era questo ‘passaggio’ - dalla democrazia politica alla democrazia economica - che per Lombardi avrebbe portato mediante una ‘rottura’ (nonviolenta) dello staus quo alla societa’ socialista, quella che riesce “a dare a ciascun individuo la massima possibilità di decidere la propria esistenza e di costruire la propria vita”. Una lezione politica di alto valore morale: “star meglio” per Lombardi non coincideva (e non coincide) con “aver di piu’”, come beni materiali di consumo: piu’ auto, piu’ computer, piu’ telefonini, piu’ cosmetici.
“Quando poi l’aumento del reddito e’ stato realizzato, lo stato interviene per distribuirlo meglio, con una quota piu’ importante in opere sociali, come la scuola, l’ospedalita’ o altro: questa non e’ la politica socialista, questa e’ la vecchia politica riformista, non riformatrice. La politica riformista, che si qualificava scientificamente proprio come quella che voleva lasciare immutato il sistema produttivo, considerando la produzione come affare dei capitalisti pubblici o privati, e si preoccupava esclusivamente della ripartizione del reddito”.
E poi in quel primo maggio 1967 lancio’ la ‘sfida’ non raccolta: “i socialisti vogliono la societa’ piu’ ricca perche’ diversamente ricca. E’ il tipo di benessere, il tipo cioe’ di consumi che noi vogliamo cambiare, sono veramente le basi delle aspirazioni e delle preferenze e delle soddisfazioni da dare a queste preferenze che noi vogliamo cambiare, perche’ il socialismo e’ un progetto dell’uomo, soprattutto, e’ un progetto dell’uomo diverso, che abbia diversi bisogni e trovi il modo di soddisfare questi bisogni”.