Abbiamo da tempo tentato invano di mettere in guardia il Ministro della Giustizia e l’opinione pubblica sui rischi di deriva che stava prendendo il sistema penitenziario e dei pericolosi effetti che questa avrebbe potuto generare, se non immediatamente contrastata, nel perseguimento del mandato costituzionale affidato all’istituzione e delle conseguenti gravi ripercussioni sul mondo del lavoro in carcere.
Avevamo avvertito che il complesso delle misure inserite nel pacchetto sicurezza avrebbero presto contribuito a rendere invivibili gli istituti penitenziari, sarebbero risultate inadeguate a garantire condizioni minime di sicurezza ed avrebbero avuto pesanti ricadute anche nel lavoro quotidiano dei poliziotti penitenziari – privi degli strumenti indispensabili e costretti ad operare tra mille disagi.
E così, mentre in questi ultimi mesi il tema si è inutilmente consumato sull’indulto del 2006 (occasione, comunque, persa per l’avvio delle necessarie riforme strutturali del sistema), sulla possibilità di espulsione di 3500 detenuti stranieri detenuti e sui braccialetti elettronici (peraltro già sperimentati con alti costi e pessimi risultati negli anni passati), in queste ultime settimane le presenze negli istituti di pena hanno ormai largamente superato il livello di guardia, contribuendo ad alimentare fortissime tensioni, che all’interno delle carceri troppo spesso stanno sfociando in tumulti ed in gravissimi atti di violenza portati contro gli appartenenti alla Polizia penitenziaria, già demotivata e resa irresponsabilmente insufficiente negli organici, anche con l’ultima manovra economica triennale, che ha tagliato circa tre miliardi alla sicurezza e circa 200 milioni di euro al solo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.
Occorre prevedere con urgenza un piano straordinario di interventi per il sistema penitenziario, che avverte come pressante il bisogno di eliminare alcune effetti perversi delle leggi Bossi-Fini, ex Cirielli e Fini-Giovanardi e una profonda riforma del codice penale; mentre sono indispensabili investimenti nella prevenzione e nella riabilitazione, anche per implementare il ricorso a misure alternative alla detenzione.
Crediamo, inoltre, sia indispensabile dotare il sistema delle risorse economiche e umane fondamentali (sia delle diverse professionalità penitenziarie che della Polizia penitenziaria) per garantire la piena attuazione del mandato affidato e la sicurezza delle strutture, ma anche per rendere le condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari migliori di quelle attuali, per garantire luoghi di lavoro più vivibili, assicurare il rispetto della dignità professionale e dei diritti del lavoro, troppo spesso tornati ad essere messi pesantemente in discussione.
Pensiamo che il nuovo Capo del DAP debba quanto prima avviare una incisiva azione di recupero agli istituti penitenziari del personale di Polizia penitenziaria tuttora impiegato in compiti impropri e/o distaccato presso servizi e uffici centrali con compiti amministrativi che possono essere evasi dal personale preposto.
I poliziotti che sono rimasti a lavorare nei servizi e istituti penitenziari- sempre meno ormai, anche per effetto del blocco al turn over imposto dalla manovra economica - sono stanchi di lavorare in condizioni di assoluto disagio operativo, con mezzi e strumenti inadeguati, senza alcuna prospettiva di miglioramento e di rischiare la propria incolumità in ogni turno di servizio negli istituti di pena o nei servizi su strada. Sono esasperati per essere costretti ad operare senza sosta e senza riposo, con turni massacranti che vanno ben oltre quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro, ore e ore di lavoro straordinario per giunta pagato meno di quello ordinario!
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