Ha sfogliato documenti su documenti, dei 20
massicci faldoni che contengono le prove dell’avvelenamento di una delle
maggiori falde acquifere del Piemonte e della omessa bonifica del polo chimico.
Avvelenamento delle acque somministrate ai dipendenti, avvelenamento dei pozzi
privati e dell’acquedotto di Alessandria a mezzo di cromo esavalente, arsenico,
antimonio, nichel, cloroformio, selenio, DDT, fluorurati, solfati, idrocarburi,
metalli pesanti eccetera.
Omessa bonifica delle discariche illegittime non
autorizzate né denunciate, i cui veleni sotterrati ancora oggi dilavano nella falda
sotterranea.
Entrambi i reati commessi con dolo avendo nascosto agli enti pubblici la reale portata degli inquinamenti tossici e cancerogeni, e fatto nulla per eliminarli o soltanto ridurli, anzi, agendo con condotte delittuose per nascondere e falsificare documenti, analisi e dati eco sanitari, in ciò provocando malattie e morti fra centinaia di persone che si sono costituite parti civili anche con il patrocinio di Medicina democratica.
Dunque dolo, fraudolenza, volontà di delinquere: Dante avrebbe collocato gli otto imputati nei gironi più bassi dell’Inferno. La Corte di Assise, più modestamente, può condannare anche a 15 anni di reclusione, a risarcire le vittime e soprattutto a bonificare la bomba ecologica a rilascio centenario.
Il
Direttore dell’Arpa, tramite i documenti nascosti dall’azienda e sequestrati dal
pubblico ministero Riccardo Ghio, ha mostrato alla Giuria presieduta da
Sandra Casacci, giudice a latere Gianluigi
Zulian, che i dirigenti Solvay (ex Ausimont) non solo per decenni
avvelenavano, ma sapevano che stavano avvelenando, consapevolmente come e
quando, anzi minimizzavano le analisi agli enti pubblici, anzi le nascondevano,
anzi le falsificavano prima e addirittura dopo il 2008, quando prese avvio la
fase processuale.
Emblematico, fra i numerosi documenti occultati e sequestrati,
è stata l’esibizione in aula della
mail con cui Solvay cercava di nascondere alle autorità che il catastrofico
inquinamento era ben oltre i confini dello stabilimento ma raggiungeva il fiume
Bormida e la città.
La mail in oggetto non fu redatta da uno qualunque degli
imputati, bensì da Giorgio Carimati:
per la società belga responsabile tecnico giuridico per l’ambiente e la
sicurezza di tutti gli stabilimenti
italiani. In costante contatto telefonico con Bruxelles (come da
intercettazioni) Carimati era al di sopra di tutti i direttori delle fabbriche
ai quali impartiva le disposizioni affinchè fossero “eseguite alla lettera” a
cascata dalle maestranze, nonché era il coordinatore del pool degli avvocati.
Disposizioni che, concordiamo con le rilevanze processuali, “ non sono allineate a principi di integrità morale e giuridica, e si prestano ad aspetti confluenti in comportamenti configuranti reati”. Ne sono infatti coinvolti altri soggetti della realtà spinettese, in scala gerarchica, consapevoli in varia misura dello stato di inquinamento acque e atmosfera, e soprattutto solerti attori delle manomissioni e degli occultamenti “suggeriti” dal regista Carimati.
Ad esempio le doppie versioni, segrete e ufficiali, delle analisi dei pozzi. Ad esempio, quando dai muri e dai pavimenti affiorava il giallo del cromo: si provvedeva a stenderci sopra una gettata di bitume o cemento. Ma ne sapremo di più dal direttore Arpa nella imminente udienza del 24 aprile.
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